domenica 31 maggio 2020

La prima impressione...

"Non c'è mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione la prima volta." 
Oscar Wilde

A volta non si pensa alla famosa "prima impressione" però, purtroppo, può essere importante e fare la differenza tra l'ottenere o meno un lavoro, tra il ricevere o meno un incarico o semplicemente tra l'essere ricordato bene o male. 
Ci accorgiamo talvolta (spesse volte dopo) che ci sia tanto su cui lavorare. Bene, iniziamo a parlarne.

La prima impressione si formula in circa tre, sette secondi ed è una sensazione.
La nostra amigdala si attiva sulla base di tre fattori:

  1. Cordialità. (Questa è una minaccia per me?);
  2. Dominanza. (Che livelli di abilità, "sempre di pancia", la persona esprime in questa circostanza?);
  3. Compatibilità sessuale. (Mi piace o non mi piace? M'interessa oppure no? Tutto ciò anche dal punto di vista fisico. Nel caso di uomo/uomo o donna/donna ciò diventa competizione sessuale).
Cosa potrebbe influenzare la prima impressione?
Elencati di seguito ci sono fattori che potrebbero farlo:

  • Postura e portamento. Per dare/ricevere una buona prima impressione bisogna avere una postura radicata, eretta e centrata e adeguarla alla persona che si ha di fronte. Per esempio, se si parlasse con bambino, abbassarsi alla sua altezza sarebbe una buona cosa. Fare attenzione alle posture che tendono invece ad allargare la figura (mai farlo!) perchè potrebbero apparire come dei gesti di minore cordialità;
  • Espressione facciale. Specialmente il sorriso;
  • Contatto oculare. Il tempo giusto per notare il colore degli occhi della persona di cui si è al cospetto;
  • Abbigliamento, look, make up. Abbigliamento adeguato al contesto. Una buona cosa potrebbe essere allenarsi ad avere più stili in modo che cambiandoli non ci si trovi in difficoltà;
  • Odore. L'olfatto è il senso più evocativo, quindi attenzione agli odori (fare attenzione anche agli eccessi di profumi). Molta attenzione anche agli odori che potrebbero essere sgradevoli ma di cui non ci si accorge (alito, sudore). Circondarsi di persone che possano dare dei feedback  potrebbe essere importante;
  • Uso delle mani e dei gesti. Mani sempre ben in vista. Essere sempre abbastanza fluidi nei movimenti e con una velocità non eccessiva. Fare attenzione ai gesti troppo accentuati e ridondanti perchè potrebbero essere indice di tensione e dare la percezione di scarsa abilità. Nell'uso delle mani, un fattore importante ce l'ha la stretta di mano. Nella stretta di mano è importante valutare alcune cose:
  1. Portamento di avvicinamento;
  2. Orientamento del corpo;
  3. Contatto oculare;
  4. Sorriso e espressione facciale;
  5. Orientamento del palmo;
  6. Intensità della stretta;
  7. Modalità della stretta;
  8. Modalità di avvicinamento;
  9. Prossemica usata;
  10. Durata della stretta.
Una buona stretta di mano deve avere: 

  • Una presa salda ma non troppo stretta ne troppo molle;
  •  Un buon contatto oculare e possibilmente un sorriso;
  •  Il braccio deve essere disteso ma non rigido (potrebbe significare il voler tenere le distanze) al contempo neanche  troppo rilassato;
  • Non bisogna avvicinarsi troppo o tirare l'altro a se.

In una prima stretta di mano sono sconsigliati i rinforzi di contatto (mano su spalla o sul braccio) ma se proprio una persona non  riuscisse a trattenere il suo gesto, lo facesse sulle mani stesse (di lato o dal basso) oppure toccando il braccio lateralmente e in prossimità del gomito.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

domenica 3 maggio 2020

La Performance, la Motivazione e il Coaching Strategico...

Lo scrittore e studioso Timothy W. Gallwey, uno dei padri del coaching, era solito affermare:"L'avversario che esiste nella nostra mente è molto più forte di quello che esiste nella realtà". Una lettura rapida e poco attenta di questa citazione potrebbe indurre in errore più di una persona, la quale potrebbe andare a ricercare nel SOLO aspetto mentale la chiave di volta di una prestazione sportiva.
Ci sono sei elementi che possono influenzare una performance:


  1. Atletico;
  2. Tecnico;
  3. Strategico/tattico;
  4. MENTALE;
  5. EMOTIVO;
  6. RELAZIONALE. 
I primi tre sono seguiti da staffs specifici. Quelli su cui invece interviene il "Mental Coach", sono gli altri: MENTALE, EMOTIVO e RELAZIONALE. Li ho divisi ma in realtà posso definirli, raggruppandoli, PERFORMANCE COMPORTAMENTALI.
LA PERFORMANCE MENTALE gestisce i flussi di pensiero e la condotta mentale, facendo però attenzione a non cadere nella trappola che al miglior atteggiamento mentale corrisponda la migliore prestazione. Ci sono tanti atleti che performano proprio in virtù di un comportamento "della testa" non proprio idilliaco.
LA PERFORMANCE EMOTIVA gestisce gli stati emotivi nel momento dell'allenamento, prima e durante la performance, in alcuni casi anche dopo.
LA PERFORMANCE RELAZIONALE si occupa delle relazioni (dietro ogni atleta c'è un insieme di rapporti: staff, dirigenti, stampa, tifosi, sponsor, etc).
Un Coach deve essere molto cauto perchè orienta l'attenzione dell'atleta, ho visto  molti "Mental Coach" ripetere allo sportivo:"Credi in te stesso!!!", tutto ciò va bene fin quando funziona però  non c'è uno studio scientifico che lo dimostri. Tali parole, invece potrebbero far focalizzare l'atleta sulla mancanza di fiducia in se; questa è una cosa astratta ma  pericolosissima, specialmente se dovesse accadere in performance. Una grande battaglia è contro queste cose generiche, non tanto dal punto di vista metodologico ma dalla prospettiva che poi l'atleta  creda a quello che gli viene detto, lo trasformi nella sua sensazione, lo metabolizzi sentendolo poi dentro di sé. Questo potrebbe far in modo che diventi, nel tempo, una profezia che si autoavvera. Il Coaching Strategico comunque si prende la libertà d'influenzare deliberatamente l'atleta in funzione di quello che è il suo obiettivo, tenendo sempre presente anche del carico emotivo che si andrà a generare e non facendolo impattare negativamente sulla prestazione. Dopo una performance oppure dopo un'azione sbagliata, un Coach non dovrà cadere nella trappola di doverla giudicare subito e  pensare che egli stesso debba sempre dire qualcosa o "mettere una pezza", nulla vieta di prendere un attimo di tempo, creare un'atmosfera, magari non formale e poi parlarne. Questo è coaching post performance e serve a capitalizzare gli apprendimenti. Si parla di Coaching Sportivo: PRIMA, DURANTE e DOPO la gara.
Con gli strumenti a disposizione, i Coach possono valutare i fattori che influenzano una performance ma l'obiettivo non sarà quello di aumentare quelli positivi e ridurre i negativi ma di diminuirli entrambi. Faccio l'esempio di un atleta  che afferma di vincere quando  la moglie è presente in tribuna; influenza positiva, si penserà, allora ponetevi la domanda:" ... e se la moglie mancasse quel giorno, cosa accadrebbe? Perderebbe?" , ecco il perchè anche le influenze positive vanno limate.
Un altro tema interessante nella performance è quello della motivazione intrinseca, qualcuno asserisce che sia la benzina nel motore della performance. Pensandola solo in questo modo, chi ci dice che con una maggiore motivazione si riesca ad ottenere un risultato migliore? Se questa motivazione portasse a un sovrallenamento e poi a degli infortuni? Siamo sicuri allora che più motivato, equivalga ad una prestazione migliore? 
Un atleta che sembrerebbe avere uno scarso fattore stimolante, siete sicuri che non voglia, non abbia la forza o i mezzi per voler performare bene, oppure può essere un suo atteggiamento per non "apparire" e "volare basso"?
Il fattore che a tanti può sembrare strana è che il tema della motivazione, nel coaching è sopravvalutato e non si può misurare da quello che dice o dalle azioni di un atleta. Per concludere, affermo che NON SEMPRE: MOTIVAZIONE = PERFORMANCE. Non creiamo delle logiche rigide sequenziali per cui più motivazione equivale a più risultato. 
Io, da Coach so che l'obiettivo dell'atleta deve essere raggiunto, all'uopo indagherò e poi si farà una valutazione sulla "quantità" di motivazione da impiegare.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -