martedì 1 dicembre 2020

Le teorie e i modelli forti... Mah?

 


Esiste una formula magica attraverso la quale diventare ricchi e felici?

Se ci fosse, sarei miliardario e non la divulgherei; invece c'è una bibliografia copiosa. Tanti, generosi d'animo, hanno scritto numerosi libri sull'argomento che la gente ha puntualmente comprato. Peccato però che, in giro, io non veda persone con portafogli gonfi, ebbre di felicità.

C'è davvero la domanda maliarda con la quale si possa sbloccare una performance? La bacchetta magica, la chiave di volta utile per ogni circostanza?

Magari!!! Se ci fosse non farei il Coach e non scriverei articoli.

Nel Modello Strategico, al quale faccio riferimento, non esistono simili costrutti, teorie forti, pesantemente caratterizzate da opprimenti rigidità ma il piano che si applica, invece è fortemente influenzato dall'obiettivo prefissato e dalle caratteristiche del problema stesso.

Fermiamoci un attimo a riflettere...

Qualsiasi teoria, anche la più raffinata, nell'istante in cui diviene autocrata, può tramutarsi in una lente che potrebbe modificare marcatamente la realtà a cui viene applicata, vanificando, più o meno, il successivo intervento. Praticamente il principio rigido può influenzare in modo importante la strategia da applicare più che le stesse peculiarità del problema da risolvere.

Cosa intendiamo per modello forte?

Un approccio per cui ci sia una spiegazione a tutto, che renda comprensibili le dinamiche facendo in modo che il comportamento del coachee rientri all'interno delle stesse. Queste teorie sono caratterizzate da casualità lineari: se accade A, poi si avvera B ("Se sei più motivato, vinci", "Se ti allenassi di più avresti una performance migliore"). Tutto ciò potrebbe essere anche vero ma, nel tempo, potrebbero essere non più valide e talvolta controproducenti. 

Facciamo molta attenzione perchè gli schemi poco flessibili, spesso si fondano su teorie affascinanti e valide (qualche volta) che non sempre sono verificate e verificabili.

Qual'è la differenza tra il Modello Strategico e una teoria forte?

Semplice (sembrerebbe), il primo analizza la struttura della performance e delle problematiche (eventuali) ad essa correlate, cercando al tempo stesso di non creare logiche lineari capaci di alimentare le criticità attraverso delle tentate soluzioni disfunzionali.

In più, il Modello Strategico è applicabile alla performance nella sua totale interezza e si apre poi a qualsiasi possibilità di scenario si venisse a creare o già esistente nella realtà. I modelli forti, invece proliferano nel self-talk, nella motivazione, nel pensiero positivo, ecc, lavorando nella direzione che porti il coachee a ripetersi che è il più forte, che è il migliore, che ce la farà.

A questo punto, mi chiedo dove sia scritto e chi mi dice che una persona che si parli in positivo poi performi meglio.

Se un atleta, un manager, uno studente, dovesse ripetersi quelle frasi, sarebbe perchè corrispondono alla realtà oppure perchè c'è una parte di loro stessi che sa di non potercela fare al punto tale che per farsi forza e darsi coraggio deve dirsele?


QUI CROLLA IL CASTELLO DELLE TEORIE FORTI.

Adesso però e concludo, dovrò essere io stesso abile affinchè ciò che ho scritto non mi diventi una teoria forte, quindi  non deformare la realtà attraverso la mia visione delle cose. Per non cadere in errore, stabilire un obiettivo specifico, misurabile, condiviso col coachee, realizzabile, localizzato nel tempo e declinato positivamente.  Infine fare indagine, indagine e ancora indagine.

domenica 1 novembre 2020

Caratteristiche di un intervento.


Un intervento in una sessione di Coaching deve avere quattro peculiarità, andiamo ad analizzarle una ad una:
  •  Flessibile. Deve adattarsi al problema del Coachee e a quello che emerge dalla fase d'indagine.Tutto questo, sessione per sessione e facendo attenzione alle teorie forti;
  • Minimale. Deve mirare a piccoli cambiamenti sistemici, questo consente di avere meno resistenze da parte del Coachee e dà la possibilità al Coach di mutare più facilmente la direzione del suo intervento;
  • Autocorrettivo. Si procede per tentativi ed errori con correzioni. Una partita a scacchi, con la prima mossa al Coach e quella successiva al Coachee; se la giocata del cliente va nella direzione sperata, va bene, altrimenti ci sarà la variazione. Faccio un esempio: Il Coach usa una tecnica, aspettandosi un certo risultato che non arriva, a quel punto dovrà avere la flessibilità di lasciarla in stand by e non portarla avanti e magari riprenderla più avanti se dovesse ripresentarsi l'opportunità;
  • Adattato. L'intervento deve essere comunicato utilizzando il linguaggio del Coachee e la logica delle persone coinvolte.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

domenica 12 luglio 2020

Un accenno al Modello Strategico...


Non è una teoria ma è appunto un modello. Un modello che prevede una casualità circolare e orienta l'indagine alla soluzione nel presente in modo tale che di volta in volta si possa scegliere la tecnica da usare. Il Modello Strategico è caratterizzato dal non partire da una teoria stabilita a priori ma dallo scegliere quella che richiede il momento; ci sarà un protocollo da seguire, un processo logico, che tra l'altro riduce i danni o i problemi e il tutto comincerà con una fase iniziale, talvolta lunga, d'indagine. E' proprio dello Strategico chiedersi :"Come funziona?" per poi osservare, analizzare e indagare il problema in maniera adeguata. E' un approccio integrato, quindi: Problem Oriented, Solution Oriented e Action Oriented, è molto indirizzato verso il problema e non parte da teorie forti. Cerca di esplorare il più possibile come funziona la criticità in modo da poter riuscire ad applicare dei cambiamenti su quel processo (ricordiamo sempre che il coaching è una consulenza di processo). Il Modello Strategico parla apertamente di problema a differenza di altri approcci che mettono il taboo su questa parola e riportano solo di opportunità. Anche io l'ho studiato e appreso e la prima domanda che pongo al coachee è:"Sei qui perchè hai un problema oppure un obiettivo da raggiungere?" Come si evince dal quesito, si contempla da subito una componente di problematicità, questa riferita alla performance e non alla persona. Proprio tale complessità può farci avere molte informazioni su come il processo funzioni e regga il tutto.
Quello che usiamo come approccio è quello definito Ricerca - Intervento. Cosa significa? Vuol dire che quell'interagire col coachee, l'assegnargli delle indicazioni di lavoro tra una sessione e l'altra, tutto quello che facciamo attraverso il dialogo strategico e le attività che gli indichiamo di fare, ci servirà per due obiettivi: Ricerca e Intervento.
Ogni interazione, ogni piccolo spostamento deve far emergere nuove informazioni e creare piccoli cambiamenti.
Quando chiediamo ad una persona di mettere in pratica delle azioni, emergeranno delle resistenze al cambiamento e noi avremo, per ognuna di queste quattro resistenze, degli strumenti da applicare, naturalmente "calzandoli" ad hoc
Di solito, la prime azioni che ci vengono d'agire per risolvere un problema sono: il cercare di capire la causa e il meccanismo che lo sottende. Nel Modello Strategico si ribalta questo stereotipo, prima risolviamo e potrebbe essere una soluzione casuale (anche se costruita) e poi questa ci permetterà poi di spiegare il problema. Sostanzialmente prima cambiamo e poi capiamo (nel caso interessasse ancora). L'ultimo step del percorso, quello del Capire è la fase nella quale il coachee si responsabilizza e consapevolizza quello che è stato il cammino percorso.

sabato 13 giugno 2020

"Se" (Rodyard Kipling)

Colui che vuole spingersi oltre i propri limiti dovrà sottoporsi a un percorso duro e senza scorciatoie, rispettando i tempi necessari... (Nardone - Bartoli).
  La poesia "Se", che Kipling dedicò al figlio, è un testo molto evocativo e va in quella direzione...

domenica 31 maggio 2020

La prima impressione...

"Non c'è mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione la prima volta." 
Oscar Wilde

A volta non si pensa alla famosa "prima impressione" però, purtroppo, può essere importante e fare la differenza tra l'ottenere o meno un lavoro, tra il ricevere o meno un incarico o semplicemente tra l'essere ricordato bene o male. 
Ci accorgiamo talvolta (spesse volte dopo) che ci sia tanto su cui lavorare. Bene, iniziamo a parlarne.

La prima impressione si formula in circa tre, sette secondi ed è una sensazione.
La nostra amigdala si attiva sulla base di tre fattori:

  1. Cordialità. (Questa è una minaccia per me?);
  2. Dominanza. (Che livelli di abilità, "sempre di pancia", la persona esprime in questa circostanza?);
  3. Compatibilità sessuale. (Mi piace o non mi piace? M'interessa oppure no? Tutto ciò anche dal punto di vista fisico. Nel caso di uomo/uomo o donna/donna ciò diventa competizione sessuale).
Cosa potrebbe influenzare la prima impressione?
Elencati di seguito ci sono fattori che potrebbero farlo:

  • Postura e portamento. Per dare/ricevere una buona prima impressione bisogna avere una postura radicata, eretta e centrata e adeguarla alla persona che si ha di fronte. Per esempio, se si parlasse con bambino, abbassarsi alla sua altezza sarebbe una buona cosa. Fare attenzione alle posture che tendono invece ad allargare la figura (mai farlo!) perchè potrebbero apparire come dei gesti di minore cordialità;
  • Espressione facciale. Specialmente il sorriso;
  • Contatto oculare. Il tempo giusto per notare il colore degli occhi della persona di cui si è al cospetto;
  • Abbigliamento, look, make up. Abbigliamento adeguato al contesto. Una buona cosa potrebbe essere allenarsi ad avere più stili in modo che cambiandoli non ci si trovi in difficoltà;
  • Odore. L'olfatto è il senso più evocativo, quindi attenzione agli odori (fare attenzione anche agli eccessi di profumi). Molta attenzione anche agli odori che potrebbero essere sgradevoli ma di cui non ci si accorge (alito, sudore). Circondarsi di persone che possano dare dei feedback  potrebbe essere importante;
  • Uso delle mani e dei gesti. Mani sempre ben in vista. Essere sempre abbastanza fluidi nei movimenti e con una velocità non eccessiva. Fare attenzione ai gesti troppo accentuati e ridondanti perchè potrebbero essere indice di tensione e dare la percezione di scarsa abilità. Nell'uso delle mani, un fattore importante ce l'ha la stretta di mano. Nella stretta di mano è importante valutare alcune cose:
  1. Portamento di avvicinamento;
  2. Orientamento del corpo;
  3. Contatto oculare;
  4. Sorriso e espressione facciale;
  5. Orientamento del palmo;
  6. Intensità della stretta;
  7. Modalità della stretta;
  8. Modalità di avvicinamento;
  9. Prossemica usata;
  10. Durata della stretta.
Una buona stretta di mano deve avere: 

  • Una presa salda ma non troppo stretta ne troppo molle;
  •  Un buon contatto oculare e possibilmente un sorriso;
  •  Il braccio deve essere disteso ma non rigido (potrebbe significare il voler tenere le distanze) al contempo neanche  troppo rilassato;
  • Non bisogna avvicinarsi troppo o tirare l'altro a se.

In una prima stretta di mano sono sconsigliati i rinforzi di contatto (mano su spalla o sul braccio) ma se proprio una persona non  riuscisse a trattenere il suo gesto, lo facesse sulle mani stesse (di lato o dal basso) oppure toccando il braccio lateralmente e in prossimità del gomito.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

domenica 3 maggio 2020

La Performance, la Motivazione e il Coaching Strategico...

Lo scrittore e studioso Timothy W. Gallwey, uno dei padri del coaching, era solito affermare:"L'avversario che esiste nella nostra mente è molto più forte di quello che esiste nella realtà". Una lettura rapida e poco attenta di questa citazione potrebbe indurre in errore più di una persona, la quale potrebbe andare a ricercare nel SOLO aspetto mentale la chiave di volta di una prestazione sportiva.
Ci sono sei elementi che possono influenzare una performance:


  1. Atletico;
  2. Tecnico;
  3. Strategico/tattico;
  4. MENTALE;
  5. EMOTIVO;
  6. RELAZIONALE. 
I primi tre sono seguiti da staffs specifici. Quelli su cui invece interviene il "Mental Coach", sono gli altri: MENTALE, EMOTIVO e RELAZIONALE. Li ho divisi ma in realtà posso definirli, raggruppandoli, PERFORMANCE COMPORTAMENTALI.
LA PERFORMANCE MENTALE gestisce i flussi di pensiero e la condotta mentale, facendo però attenzione a non cadere nella trappola che al miglior atteggiamento mentale corrisponda la migliore prestazione. Ci sono tanti atleti che performano proprio in virtù di un comportamento "della testa" non proprio idilliaco.
LA PERFORMANCE EMOTIVA gestisce gli stati emotivi nel momento dell'allenamento, prima e durante la performance, in alcuni casi anche dopo.
LA PERFORMANCE RELAZIONALE si occupa delle relazioni (dietro ogni atleta c'è un insieme di rapporti: staff, dirigenti, stampa, tifosi, sponsor, etc).
Un Coach deve essere molto cauto perchè orienta l'attenzione dell'atleta, ho visto  molti "Mental Coach" ripetere allo sportivo:"Credi in te stesso!!!", tutto ciò va bene fin quando funziona però  non c'è uno studio scientifico che lo dimostri. Tali parole, invece potrebbero far focalizzare l'atleta sulla mancanza di fiducia in se; questa è una cosa astratta ma  pericolosissima, specialmente se dovesse accadere in performance. Una grande battaglia è contro queste cose generiche, non tanto dal punto di vista metodologico ma dalla prospettiva che poi l'atleta  creda a quello che gli viene detto, lo trasformi nella sua sensazione, lo metabolizzi sentendolo poi dentro di sé. Questo potrebbe far in modo che diventi, nel tempo, una profezia che si autoavvera. Il Coaching Strategico comunque si prende la libertà d'influenzare deliberatamente l'atleta in funzione di quello che è il suo obiettivo, tenendo sempre presente anche del carico emotivo che si andrà a generare e non facendolo impattare negativamente sulla prestazione. Dopo una performance oppure dopo un'azione sbagliata, un Coach non dovrà cadere nella trappola di doverla giudicare subito e  pensare che egli stesso debba sempre dire qualcosa o "mettere una pezza", nulla vieta di prendere un attimo di tempo, creare un'atmosfera, magari non formale e poi parlarne. Questo è coaching post performance e serve a capitalizzare gli apprendimenti. Si parla di Coaching Sportivo: PRIMA, DURANTE e DOPO la gara.
Con gli strumenti a disposizione, i Coach possono valutare i fattori che influenzano una performance ma l'obiettivo non sarà quello di aumentare quelli positivi e ridurre i negativi ma di diminuirli entrambi. Faccio l'esempio di un atleta  che afferma di vincere quando  la moglie è presente in tribuna; influenza positiva, si penserà, allora ponetevi la domanda:" ... e se la moglie mancasse quel giorno, cosa accadrebbe? Perderebbe?" , ecco il perchè anche le influenze positive vanno limate.
Un altro tema interessante nella performance è quello della motivazione intrinseca, qualcuno asserisce che sia la benzina nel motore della performance. Pensandola solo in questo modo, chi ci dice che con una maggiore motivazione si riesca ad ottenere un risultato migliore? Se questa motivazione portasse a un sovrallenamento e poi a degli infortuni? Siamo sicuri allora che più motivato, equivalga ad una prestazione migliore? 
Un atleta che sembrerebbe avere uno scarso fattore stimolante, siete sicuri che non voglia, non abbia la forza o i mezzi per voler performare bene, oppure può essere un suo atteggiamento per non "apparire" e "volare basso"?
Il fattore che a tanti può sembrare strana è che il tema della motivazione, nel coaching è sopravvalutato e non si può misurare da quello che dice o dalle azioni di un atleta. Per concludere, affermo che NON SEMPRE: MOTIVAZIONE = PERFORMANCE. Non creiamo delle logiche rigide sequenziali per cui più motivazione equivale a più risultato. 
Io, da Coach so che l'obiettivo dell'atleta deve essere raggiunto, all'uopo indagherò e poi si farà una valutazione sulla "quantità" di motivazione da impiegare.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

domenica 5 aprile 2020

Resistenze al cambiamento.

Faccio una dovuta premessa. Ho studiato presso la Scuola di Formazione Formatori e Coaching FYM e alcuni contenuti di questo scritto sono tratti dalla sinossi del loro Corso di Protocolli di Coaching.
C'è sempre una RESISTENZA AL CAMBIAMENTO, individuale o sistemica.
Il Coaching, almeno nel Modello Strategico, non cerca di sconfiggerla o di eliminarla ma di prenderne atto e sfruttarla, in modo da generare un cambiamento.
Esistono quattro tipi di Resistenze:
- Tipo COLLABORATIVO;
- Tipo VORREBBE MA NON PUO';
- Tipo OPPOSITIVO;
- Tipo  NON PUO' NE' COLLABORARE NE' OPPORSI (Tipo Ideologico).
Un fattore importante da ricordare è che queste non sono le caratteristiche del coachee ma lo sono del suo comportamento in determinati momenti del percorso di coaching.
Le prime resistenze possono già aversi nella primissima fase del processo di Coaching, nel caso in cui il committente possa non coincidere col coachee. Quest'ultimo, infatti, potrebbe mostrarsi poco propenso ad iniziare il percorso oppure avere proprio avversione verso il Coach.
Anche durante la fase d'indagine, sicuramente, ci saranno delle riluttanze al cambiamento, come quando si avvierà la ricerca delle tentate soluzioni disfunzionali e delle eccezioni positive.
Un covo di resistenze potrebbe nascondersi nel definire o nel ridefinire l'obiettivo ma anche in una parafrasi malfatta oppure una ristrutturazione poco strategica, nella stessa sessione e/o anche contemporaneamente ma il Coach ha a disposizione delle tecniche, per scoprirle, gestirle e sfruttarle.
Può capitare che tra una seduta e l'altra il coachee non agisca, lo faccia parzialmente o a modo suo, l'indicazione di lavoro che il Coach gli ha dato, anche questa è una resistenza.

Andiamo adesso a vedere singolarmente le resistenze al cambiamento:



  •  Tipo COLLABORATIVO. Può sembrare una contraddizione nei termini ma accade quando, il coachee sembra possedere tutte le risorse logiche ed emotive per poter cambiare ed è accondiscendente a quanto condiviso con lui. La sensazione che evoca nel Coach è quella di soddisfazione perchè vede nell'altro la voglia di fare ma l'errore grave che egli possa fare è quello di abbassare la guardia e dare per scontato che poi il cliente agisca. Come agirà il Coach difronte a questo comportamento? Semplicemente, accetterà la collaborazione però misurandola a poco a poco, in modo che gli venga mostrata nei fatti concreti. Si dovranno creare dei momenti di controllo facendo attenzione che questi non siano subiti dal coachee ma che gli vengano proposti previo accordo e come risorsa.
  • Tipo VORREBBE MA NON PUO'. Il coachee razionalmente comprende che deve cambiare (a livello logico segue il Coach) ma non riesce a compiere i piccoli passi perchè potrebbe avere un blocco emotivo e il driver del piacere che lo porti a fare altro oppure un blocco comportamentale cioè che faccia prioprio fatica ad agire certe azioni. La sensazione che genera nel coach  è quella di dispiacere o di quasi compassione. La tattica che userà il Coach sarà quella di usare manovre dirette o velate per indurre al cambiamento il coachee.
  • Tipo OPPOSITIVO.  Non è la persona ad essere oppositiva  ma è la sua resistenza. Il Coach la riconosce perchè la sensazione che evoca è quella di rabbia o fastidio in quanto la persona o squalifica il suo intervento, oppure si oppone alle proposte o non segue le indicazioni. Questa sembrerebbe una resistenza difficile o insidiosa da "lavorare" ma, in realtà una volta che il Coach ha superato la "sua trappola" (nel senso di prenderla sul personale) non gli sarà difficile proseguire. In che modo? Chiedendo al coachee d'agire proprio la resistenza creando un doppio legame vantaggioso. Esempio: Il cliente contesta l'indicazione di lavoro del Coach e inizia a fare il bastian contrario. Controindicativamente il Coach potrebbe chiedergli proprio di "fare le pulci" a quella sua indicazione. Questo va fatto in modo funzionale e non come una squalifica per il coachee. L'indicazione potrebbe diventare:"Guarda, visto che hai un'attenzione alta verso quello che sai già possa riuscire o meno, ti chiedo di fare un'attività e di stare ben attento a tutto quello che potrebbe andar bene, andar male oppure tutti i problemi che potrebbero generarsi da questa". Praticamente il Coach gli fa fare quello che lui, coachee, sta già facendo. Ma doppio legame cosa vuol dire? Vuol dire che possono succeddere due cose: 1) Che il coachee faccia ciò che gli è stato chiesto. In questo caso, la cosa importante è che ha fatto, non quello che voleva lui ma quello che il Coach gli ha indicato e la resistenza da tipo OPPOSITIVO sta andando nella direzione di tipo COLLABORATIVO. 2) Potrebbe vincere la resistenza del coachee e lo stesso dire:"No, guarda non ho tempo di stare qui a verificare, a scrivere e a  fare le pulci...". Anche in questo caso il Coach e il coachee (a sua insaputa) avrebbero avuto la meglio sulla resistenza in quanto il cliente avrebbe smesso di opporsi. Si chiama doppio legame perchè è funzionale qualsiasi direzione, delle due, venga presa.
  • Tipo NE' COLLABORARE, NE' OPPORSI (Tipo IDEOLOGICO). Il coachee dimostra una rigidità mentale che non gli permette d'uscire dalla propria visione, sollevando questioni di principio invece di restare nel merito della conversazione; praticamente si parte per la tangente. In questo caso la trappola che il Coach deve evitare è quella di voler spiegare oppure convincere perchè, dall'altra parte, il cliente farebbe lo stesso, cercando di portare le sue motivazioni. La sensazione che evoca questo tipo di resistenza e che il coachee sia "fatto di coccio". Per questo tipo di persistenza ci vuole più tempo. Il coach deve fare buon uso della comunicazione strategica e di tutto il processo persuasorio, entrare nella logica rigida del cliente, assumerne i codici linguistici e attributivi, inserendo nella logica degli elementi  che non la contraddicano o la squalifichino ma che la riorientino verso nuove direzioni, fino alla ristrurazione.
Ogni tecnica usata farà leva su uno stratagemma per ristrutturare la resistenza al cambiamento in atto.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

lunedì 20 gennaio 2020

L'Equilibrio Emotivo... C'è posta per te.


Il modello di Equilibrio Emotivo lavora col principio che ogni emozione veicoli un messaggio specifico. (L’Equilibrio Emotivo di Piercarlo Romeo).
Chiedendoci, prima di provare un’emozione, quale sia il messaggio, risparmieremmo la fatica di capire, dopo, il perché l’abbiamo "sentita". Non esistono Emozioni positive e non esistono Emozioni negative come in quasi tutti i modelli si tende a categorizzare, esistono solo Reazioni positive o Reazioni negative alle Emozioni. Il sapere che un’Emozione è negativa a priori, nel momento in cui la proviamo può diventare un dramma con tutto quello che poi comporterà, fino a sfociare nella colpevolezza.
Quando si prova un'Emozione, avviene un mutazione dello stato psicofisiologico cioè cambia l’attivazione fisica e il focus mentale. Conoscendo il modello di EQUILIBRIO EMOTIVO, una persona potrà trarre il massimo da questa variazione senza restarne vittima. Questo, nello sport è FONDAMENTALE. Facciamo un esempio: Un atleta potrà avvertire paura ma se conosce il “modello”, riconoscerà il messaggio che gli è giunto, come equilibrarla e come prepararsi a…
Analizziamo adesso alcune emozioni utilizzando lo schema come da schede della scuola di Coaching e Formazione Formatori Fym:
PAURA
Reazioni Fisiologiche: Sudorazione, battito cardiaco accelerato, aumento della pressione sistolica e diastolica, blocco respiratorio o affanno.
Come reazione fisiologica non verbale si può avvertire un allontanamento dallo stimolo oppure una riduzione della figura.
Aspetti mentali: Focus sullo stimolo, autoprotezione.
Messaggio: C’è un pericolo? Questo pericolo è reale o emotivo? 
Azione di equilibrio: Fisico: Si è bloccato il respiro, iniziare a respirare; Mentale: Chiedersi se quel pericolo sia reale oppure no e che vantaggio ci sarebbe ad affrontare quella situazione.
RABBIA
La RABBIA è energia e questa va trasformata in energia del cambiamento.
Reazioni fisiologiche: Sale l’energia, aumento ritmo respiratorio, chiusura delle pupille.
Aspetti mentali: Focus sull’obiettivo.
Messaggio: C’è qualcosa di diverso rispetto a quello che desideravo, quindi c’è bisogno di un cambiamento. Chiedersi quale sia il cambiamento più funzionale.
Azione di equilibrio: Il problema della rabbia è che talvolta la reazione è più forte, come azione di equilibrio si userà lo stesso registro della reazione ma con contenuto diverso. Esempio: Invece di mandare a quel paese una persona, con la stessa veemenza, lo si inviterà a bere un caffè. In questo modo si mantiene il tono, la relazione e cambia il contenuto ma soprattutto non si fanno danni. Altra azione di equilibrio è quella di verbalizzare la rabbia, quasi come fosse un avvertimento.

TRISTEZZA/DOLORE

La logica che sottende questa emozione è quella della separazione.
Reazioni fisiologiche: Abbassamento dell’energia, pianto, depressione.
Aspetti mentali: Pensieri negativi, focus sull’accaduto.
Messaggio: C’è qualcosa che devo accettare, non è tutto sotto il nostro controllo.
Azione di equilibrio: Chiedersi cosa farebbe dire d'aver superato quel momento.

DISGUSTO/DISPREZZO
Reazioni fisiologiche: Allontanamento dallo stimolo.
Aspetti mentali: Allontanamento mentale dallo stimolo.
Messaggio: Questa cosa mi fa bene oppure no?
Azione di equilibrio: Rieducare il gusto.
Se la cosa non piacesse e non facesse bene, starne lontani.

SORPRESA
La SORPRESA è l'Emozione più manipolativa che esista per un motivo molto semplice: apre i nostri canali ricettivi.
Reazioni fisiologiche: Si "aprono": bocca, occhi e orecchie".
Aspetti mentali: Focus verso lo stimolo.fino a quando non c'è comprensione dello stesso.
Messaggio: C'è qualcosa di nuovo
Azione di equilibrio: Questo stimolo merita la mia attenzione?

GIOIA/PIACERE
Reazioni fisiologiche: Ci avviciniamo allo stimolo.
Aspetti mentali: Focus sullo stimolo.
Messaggio: Questa cosa fa bene per me?
Azione di equilibrio: Se è una cosa che piace e non fa bene, smettere, se fa bene e non piace, iniziare a usarla o farsela piacere.

VERGOGNA

Reazione fisiologica: Ci nascondiamo.
Aspetti mentali: Cerchiamo di tener nascosto il fatto.
Messaggio: Gli diamo un valore e poi vediamo se questo è sociale oppure solo nostro.
Azione di equilibrio: Chiedersi se è un valore che si condivide, domandarsi:"... e se lo dicessi prima, cosa succederebbe?

IMBARAZZO

Reazione fisiologica: Balbettio, diventare rossi.
Aspetti mentali: Cerchiamo di controllare le reazioni fisiologiche.
Messaggio: C’è un’abilità da migliorare, c’è una situazione con la quale dobbiamo ancora imparare a controllarci.
Azione di equilibrio: Dichiarare subito l'emozione, svelare ciò che invece si vuole nascondere

FRUSTRAZIONE
Reazione fisiologica: Irrigidimento.
Aspetto mentale: Percezione d’impotenza, focus sulla performance non realizzata.
Messaggio: Fermarsi e valutare la direzione, la qualità e l’intensità degli sforzi ma anche gli strumenti che si stanno usando.
Azione di equilibrio: Fermarsi e ottenere un punto di vista esterno.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -