martedì 1 dicembre 2020

Le teorie e i modelli forti... Mah?

 


Esiste una formula magica attraverso la quale diventare ricchi e felici?

Se ci fosse, sarei miliardario e non la divulgherei; invece c'è una bibliografia copiosa. Tanti, generosi d'animo, hanno scritto numerosi libri sull'argomento che la gente ha puntualmente comprato. Peccato però che, in giro, io non veda persone con portafogli gonfi, ebbre di felicità.

C'è davvero la domanda maliarda con la quale si possa sbloccare una performance? La bacchetta magica, la chiave di volta utile per ogni circostanza?

Magari!!! Se ci fosse non farei il Coach e non scriverei articoli.

Nel Modello Strategico, al quale faccio riferimento, non esistono simili costrutti, teorie forti, pesantemente caratterizzate da opprimenti rigidità ma il piano che si applica, invece è fortemente influenzato dall'obiettivo prefissato e dalle caratteristiche del problema stesso.

Fermiamoci un attimo a riflettere...

Qualsiasi teoria, anche la più raffinata, nell'istante in cui diviene autocrata, può tramutarsi in una lente che potrebbe modificare marcatamente la realtà a cui viene applicata, vanificando, più o meno, il successivo intervento. Praticamente il principio rigido può influenzare in modo importante la strategia da applicare più che le stesse peculiarità del problema da risolvere.

Cosa intendiamo per modello forte?

Un approccio per cui ci sia una spiegazione a tutto, che renda comprensibili le dinamiche facendo in modo che il comportamento del coachee rientri all'interno delle stesse. Queste teorie sono caratterizzate da casualità lineari: se accade A, poi si avvera B ("Se sei più motivato, vinci", "Se ti allenassi di più avresti una performance migliore"). Tutto ciò potrebbe essere anche vero ma, nel tempo, potrebbero essere non più valide e talvolta controproducenti. 

Facciamo molta attenzione perchè gli schemi poco flessibili, spesso si fondano su teorie affascinanti e valide (qualche volta) che non sempre sono verificate e verificabili.

Qual'è la differenza tra il Modello Strategico e una teoria forte?

Semplice (sembrerebbe), il primo analizza la struttura della performance e delle problematiche (eventuali) ad essa correlate, cercando al tempo stesso di non creare logiche lineari capaci di alimentare le criticità attraverso delle tentate soluzioni disfunzionali.

In più, il Modello Strategico è applicabile alla performance nella sua totale interezza e si apre poi a qualsiasi possibilità di scenario si venisse a creare o già esistente nella realtà. I modelli forti, invece proliferano nel self-talk, nella motivazione, nel pensiero positivo, ecc, lavorando nella direzione che porti il coachee a ripetersi che è il più forte, che è il migliore, che ce la farà.

A questo punto, mi chiedo dove sia scritto e chi mi dice che una persona che si parli in positivo poi performi meglio.

Se un atleta, un manager, uno studente, dovesse ripetersi quelle frasi, sarebbe perchè corrispondono alla realtà oppure perchè c'è una parte di loro stessi che sa di non potercela fare al punto tale che per farsi forza e darsi coraggio deve dirsele?


QUI CROLLA IL CASTELLO DELLE TEORIE FORTI.

Adesso però e concludo, dovrò essere io stesso abile affinchè ciò che ho scritto non mi diventi una teoria forte, quindi  non deformare la realtà attraverso la mia visione delle cose. Per non cadere in errore, stabilire un obiettivo specifico, misurabile, condiviso col coachee, realizzabile, localizzato nel tempo e declinato positivamente.  Infine fare indagine, indagine e ancora indagine.

domenica 1 novembre 2020

Caratteristiche di un intervento.


Un intervento in una sessione di Coaching deve avere quattro peculiarità, andiamo ad analizzarle una ad una:
  •  Flessibile. Deve adattarsi al problema del Coachee e a quello che emerge dalla fase d'indagine.Tutto questo, sessione per sessione e facendo attenzione alle teorie forti;
  • Minimale. Deve mirare a piccoli cambiamenti sistemici, questo consente di avere meno resistenze da parte del Coachee e dà la possibilità al Coach di mutare più facilmente la direzione del suo intervento;
  • Autocorrettivo. Si procede per tentativi ed errori con correzioni. Una partita a scacchi, con la prima mossa al Coach e quella successiva al Coachee; se la giocata del cliente va nella direzione sperata, va bene, altrimenti ci sarà la variazione. Faccio un esempio: Il Coach usa una tecnica, aspettandosi un certo risultato che non arriva, a quel punto dovrà avere la flessibilità di lasciarla in stand by e non portarla avanti e magari riprenderla più avanti se dovesse ripresentarsi l'opportunità;
  • Adattato. L'intervento deve essere comunicato utilizzando il linguaggio del Coachee e la logica delle persone coinvolte.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

domenica 12 luglio 2020

Un accenno al Modello Strategico...


Non è una teoria ma è appunto un modello. Un modello che prevede una casualità circolare e orienta l'indagine alla soluzione nel presente in modo tale che di volta in volta si possa scegliere la tecnica da usare. Il Modello Strategico è caratterizzato dal non partire da una teoria stabilita a priori ma dallo scegliere quella che richiede il momento; ci sarà un protocollo da seguire, un processo logico, che tra l'altro riduce i danni o i problemi e il tutto comincerà con una fase iniziale, talvolta lunga, d'indagine. E' proprio dello Strategico chiedersi :"Come funziona?" per poi osservare, analizzare e indagare il problema in maniera adeguata. E' un approccio integrato, quindi: Problem Oriented, Solution Oriented e Action Oriented, è molto indirizzato verso il problema e non parte da teorie forti. Cerca di esplorare il più possibile come funziona la criticità in modo da poter riuscire ad applicare dei cambiamenti su quel processo (ricordiamo sempre che il coaching è una consulenza di processo). Il Modello Strategico parla apertamente di problema a differenza di altri approcci che mettono il taboo su questa parola e riportano solo di opportunità. Anche io l'ho studiato e appreso e la prima domanda che pongo al coachee è:"Sei qui perchè hai un problema oppure un obiettivo da raggiungere?" Come si evince dal quesito, si contempla da subito una componente di problematicità, questa riferita alla performance e non alla persona. Proprio tale complessità può farci avere molte informazioni su come il processo funzioni e regga il tutto.
Quello che usiamo come approccio è quello definito Ricerca - Intervento. Cosa significa? Vuol dire che quell'interagire col coachee, l'assegnargli delle indicazioni di lavoro tra una sessione e l'altra, tutto quello che facciamo attraverso il dialogo strategico e le attività che gli indichiamo di fare, ci servirà per due obiettivi: Ricerca e Intervento.
Ogni interazione, ogni piccolo spostamento deve far emergere nuove informazioni e creare piccoli cambiamenti.
Quando chiediamo ad una persona di mettere in pratica delle azioni, emergeranno delle resistenze al cambiamento e noi avremo, per ognuna di queste quattro resistenze, degli strumenti da applicare, naturalmente "calzandoli" ad hoc
Di solito, la prime azioni che ci vengono d'agire per risolvere un problema sono: il cercare di capire la causa e il meccanismo che lo sottende. Nel Modello Strategico si ribalta questo stereotipo, prima risolviamo e potrebbe essere una soluzione casuale (anche se costruita) e poi questa ci permetterà poi di spiegare il problema. Sostanzialmente prima cambiamo e poi capiamo (nel caso interessasse ancora). L'ultimo step del percorso, quello del Capire è la fase nella quale il coachee si responsabilizza e consapevolizza quello che è stato il cammino percorso.

sabato 13 giugno 2020

"Se" (Rodyard Kipling)

Colui che vuole spingersi oltre i propri limiti dovrà sottoporsi a un percorso duro e senza scorciatoie, rispettando i tempi necessari... (Nardone - Bartoli).
  La poesia "Se", che Kipling dedicò al figlio, è un testo molto evocativo e va in quella direzione...

domenica 31 maggio 2020

La prima impressione...

"Non c'è mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione la prima volta." 
Oscar Wilde

A volta non si pensa alla famosa "prima impressione" però, purtroppo, può essere importante e fare la differenza tra l'ottenere o meno un lavoro, tra il ricevere o meno un incarico o semplicemente tra l'essere ricordato bene o male. 
Ci accorgiamo talvolta (spesse volte dopo) che ci sia tanto su cui lavorare. Bene, iniziamo a parlarne.

La prima impressione si formula in circa tre, sette secondi ed è una sensazione.
La nostra amigdala si attiva sulla base di tre fattori:

  1. Cordialità. (Questa è una minaccia per me?);
  2. Dominanza. (Che livelli di abilità, "sempre di pancia", la persona esprime in questa circostanza?);
  3. Compatibilità sessuale. (Mi piace o non mi piace? M'interessa oppure no? Tutto ciò anche dal punto di vista fisico. Nel caso di uomo/uomo o donna/donna ciò diventa competizione sessuale).
Cosa potrebbe influenzare la prima impressione?
Elencati di seguito ci sono fattori che potrebbero farlo:

  • Postura e portamento. Per dare/ricevere una buona prima impressione bisogna avere una postura radicata, eretta e centrata e adeguarla alla persona che si ha di fronte. Per esempio, se si parlasse con bambino, abbassarsi alla sua altezza sarebbe una buona cosa. Fare attenzione alle posture che tendono invece ad allargare la figura (mai farlo!) perchè potrebbero apparire come dei gesti di minore cordialità;
  • Espressione facciale. Specialmente il sorriso;
  • Contatto oculare. Il tempo giusto per notare il colore degli occhi della persona di cui si è al cospetto;
  • Abbigliamento, look, make up. Abbigliamento adeguato al contesto. Una buona cosa potrebbe essere allenarsi ad avere più stili in modo che cambiandoli non ci si trovi in difficoltà;
  • Odore. L'olfatto è il senso più evocativo, quindi attenzione agli odori (fare attenzione anche agli eccessi di profumi). Molta attenzione anche agli odori che potrebbero essere sgradevoli ma di cui non ci si accorge (alito, sudore). Circondarsi di persone che possano dare dei feedback  potrebbe essere importante;
  • Uso delle mani e dei gesti. Mani sempre ben in vista. Essere sempre abbastanza fluidi nei movimenti e con una velocità non eccessiva. Fare attenzione ai gesti troppo accentuati e ridondanti perchè potrebbero essere indice di tensione e dare la percezione di scarsa abilità. Nell'uso delle mani, un fattore importante ce l'ha la stretta di mano. Nella stretta di mano è importante valutare alcune cose:
  1. Portamento di avvicinamento;
  2. Orientamento del corpo;
  3. Contatto oculare;
  4. Sorriso e espressione facciale;
  5. Orientamento del palmo;
  6. Intensità della stretta;
  7. Modalità della stretta;
  8. Modalità di avvicinamento;
  9. Prossemica usata;
  10. Durata della stretta.
Una buona stretta di mano deve avere: 

  • Una presa salda ma non troppo stretta ne troppo molle;
  •  Un buon contatto oculare e possibilmente un sorriso;
  •  Il braccio deve essere disteso ma non rigido (potrebbe significare il voler tenere le distanze) al contempo neanche  troppo rilassato;
  • Non bisogna avvicinarsi troppo o tirare l'altro a se.

In una prima stretta di mano sono sconsigliati i rinforzi di contatto (mano su spalla o sul braccio) ma se proprio una persona non  riuscisse a trattenere il suo gesto, lo facesse sulle mani stesse (di lato o dal basso) oppure toccando il braccio lateralmente e in prossimità del gomito.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -