martedì 1 ottobre 2019

Io e il Coaching… Questi sconosciuti.


Perché sono un Coach ?
Sono stato un atleta e ad un certo punto della mia carriera sportiva, se avessi avuto accanto a me questa figura, probabilmente avrei visto alcune cose in modo diverso, fatto delle valutazioni differenti e operato in maniera dissimile da quella poi agita.
Qualche anno fa, a seguito di una mancata convocazione al Campionato Mondiale della 24 ore di corsa, ho avuto quello che poi col tempo e gli studi ho imparato a definire, un BLOCCO DELLA PERFORMANCE, cioè non sono più riuscito a conseguire “certi” risultati nonostante gli allenamenti fossero sempre gli stessi e la gente mi dicesse: ”Sei, bravo!!!“, “Sei forte!!!“, “Credi in quello che fai!!!“, “Credi in te stesso!!!“. NIENTE, ASSOLUTAMENTE NIENTE, al punto che decisi d’abbandonare quel tipo di gare.
Non cercai una spiegazione o un perchè dell’accaduto ma cominciai a leggere qualche libro sul comportamento delle persone e sulle risposte che hanno agli stimoli. Ad un certo punto, girovagando nel web, trovai il termine MENTAL  COACH.
Iniziai a documentarmi su questa professione di cui avevo già sentito parlare, della quale avevo una conoscenza appena sufficiente, credevo ma in realtà, scarsissima… Più leggevo e più le idee si confondevano… Nel mondo del coaching c’è di tutto e di più. Provate, in un motore di ricerca, a scrivere la parola COACHING, troverete il circo Barnum. Un giorno avevo appena finito di leggere un libro del prof. Nardone dove tra l’altro spiegava: “… che troppo spesso, di fronte a un problema, si ha la tendenza a cercare la spiegazione piuttosto che la soluzione” e mettendomi al computer  trovai dei diversamente pazzi di una scuola di coaching (Fym) che spiegavano: ”COSA NON E’ IL COACHING“.
Il libro e quella scuola mi colpirono particolarmente. Tutto così diverso, tutto molto fuori dagli stereotipi di quello che pensavo fosse la soluzione per risolvere i problemi (il cercare di capire) e di quello che potesse essere un Mental Coach (“Credi in te stesso!!!“, “Forza,insisti…!!!“); talmente diverso perchè in realtà normale e mai banale. Mettendo a posto i pezzi del puzzle nella mia testa, scoprii che l’approccio al coaching di quella scuola era  basato sul modello di Coaching Strategico del prof. Giorgio Nardone e in più usava anche il Problem Solving Strategico come la scuola di Arezzo (in realtà il Problem Solving Strategico di Fym è stato da loro integrato con tanti altri aspetti tipo l’attività  di mappatura degli sport, della parte Action Oriented, i Feedback ed altro).Tempo una decina di giorni di approfondimento e decisi d’ iscrivermi al programma per diventare Coach Sportivo presso la Scuola di Formazione e Coaching “Fym“ (i famosi diversamente pazzi).
Cosa non è il Coaching che tanto m’incuriosì…?
All’uopo, copio integralmente ciò che Piercarlo Romeo (Ceo di Fym) ha scritto in un suo articolo:

Partiamo da cosa non è il coaching e da cosa non fa un coach.
Il coaching, come disciplina, non è terapia, non è medicina, non è una religione, non è motivazione, non è una tecnica (PNL, NEI, Rebirthing, Meditazione, etc…), non è psicoterapia, non è psicoanalisi, non è magia.
Il coaching è un intervento specializzato che punta allo sviluppo delle potenzialità, al superamento dei limiti personali, all’incremento delle performance (personali, professionali o sportive) e al supporto nel raggiungimento di uno o più obiettivi.
Cosa non fa un coach?
Per prima cosa un coach non si autoproclama tale. La formazione di un professionista di questa metodologia di aiuto richiede lo sviluppo di conoscenze teoriche, competenze tecniche e abilità pratiche. Non basta leggere un libro, pubblicare frasi motivazionali, fare un corso, essere belli e simpatici, o non avere problemi (o credere di non averne!) per autoproclamarsi coach!!! Un coach lavora con gli altri e PER gli altri, e da questo ne deriva una grande responsabilità.
Un coach non è autocelebrativo. Un coach sa che chi raggiunge i propri obiettivi e migliora le proprie performance è sempre e comunque il proprio cliente. Un coach vince se il cliente vince, ma non si prende il merito della vittoria: sa che è del cliente.
Un coach non dà risposte. Un coach sa che il suo ruolo non è dare risposte ma sviluppare il potenziale del proprio cliente attraverso domande specifiche e strategiche, o supportarlo nel superare alcuni blocchi. Quando dà risposte (può capitare) fa le dovute premesse al proprio cliente, oppure in alcuni momenti decide di operare come consulente, e non più come coach.
Un coach non squalifica altre professionalità. Troppi coach si sentono migliori degli psicologi, degli psicoterapeuti o dei counselor (e a volte anche viceversa). Chi ha questo atteggiamento ci rivela alcune informazioni su di sé: per prima cosa non ha capito bene le aree di competenza del coaching, quelle della psicoterapia e quelle del counseling. Anzi, i migliori coach, proprio conoscendo le proprie aree di competenza, quando ce ne è bisogno, inviano i propri clienti ad altre professionalità. Personalmente, molte persone che mi contattano le invio dalla psicoterapeuta: in quei casi, da coach professionista, non posso far altro che usare le mie competenze per persuadere il potenziale cliente della necessità di un intervento specialistico differente.
Un coach non usa un insieme di tecniche, ma usa una metodologia sistematica, protocollata ma flessibile, che prevede l’uso di varie tecniche in diversi momenti del processo di coaching.
E poi aggiungerei che un Coach non smette mai di formarsi, di informarsi e di aggiornarsi. Lavora continuamente su di sé, sulla propria metodologia, sugli strumenti che usa. Amplia continuamente le sue conoscenze personali (in modo trasversale), sviluppa continuamente nuove competenze, nuove abilità e migliora le proprie capacità, personali e professionali.
Un coach non fa cosa non dovrebbe fare un coach.
Concludendo, non prometterò mai a un cliente il raggiungimento di un certo risultato o la risoluzione sicura di un problema, questo solo Uno può farlo e vive nell’alto dei cieli.
Parafrasando Annibale, al cliente dirò sempre: ”Noi troveremo una strada oppure ne apriremo una nuova”.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach - 




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