Sono stato un atleta e ad un certo punto della mia carriera sportiva, se
avessi avuto accanto a me questa figura, probabilmente avrei visto alcune cose
in modo diverso, fatto delle valutazioni differenti e operato in maniera
dissimile da quella poi agita.
Qualche anno fa, a seguito di una mancata convocazione al Campionato
Mondiale della 24 ore di corsa, ho avuto quello che poi col tempo e gli studi
ho imparato a definire, un BLOCCO DELLA PERFORMANCE, cioè non sono più riuscito
a conseguire “certi” risultati nonostante gli allenamenti fossero sempre gli stessi
e la gente mi dicesse: ”Sei, bravo!!!“, “Sei forte!!!“, “Credi in quello che
fai!!!“, “Credi in te stesso!!!“. NIENTE, ASSOLUTAMENTE NIENTE, al punto che
decisi d’abbandonare quel tipo di gare.
Non cercai una spiegazione o un perchè dell’accaduto ma cominciai a leggere
qualche libro sul comportamento delle persone e sulle risposte che hanno agli
stimoli. Ad un certo punto, girovagando nel web, trovai il termine MENTAL COACH.
Iniziai a documentarmi su questa professione di cui avevo già sentito parlare, della quale avevo una conoscenza appena sufficiente, credevo ma in realtà, scarsissima… Più leggevo e più le idee si confondevano… Nel mondo del coaching c’è di tutto e di più. Provate, in un motore di ricerca, a scrivere la parola COACHING, troverete il circo Barnum. Un giorno avevo appena finito di leggere un libro del prof. Nardone dove tra l’altro spiegava: “… che troppo spesso, di fronte a un problema, si ha la tendenza a cercare la spiegazione piuttosto che la soluzione” e mettendomi al computer trovai dei diversamente pazzi di una scuola di coaching (Fym) che spiegavano: ”COSA NON E’ IL COACHING“.
Iniziai a documentarmi su questa professione di cui avevo già sentito parlare, della quale avevo una conoscenza appena sufficiente, credevo ma in realtà, scarsissima… Più leggevo e più le idee si confondevano… Nel mondo del coaching c’è di tutto e di più. Provate, in un motore di ricerca, a scrivere la parola COACHING, troverete il circo Barnum. Un giorno avevo appena finito di leggere un libro del prof. Nardone dove tra l’altro spiegava: “… che troppo spesso, di fronte a un problema, si ha la tendenza a cercare la spiegazione piuttosto che la soluzione” e mettendomi al computer trovai dei diversamente pazzi di una scuola di coaching (Fym) che spiegavano: ”COSA NON E’ IL COACHING“.
Il libro e quella scuola mi
colpirono particolarmente. Tutto così diverso, tutto molto fuori dagli
stereotipi di quello che pensavo fosse la soluzione per risolvere i problemi (il
cercare di capire) e di quello che potesse essere un Mental Coach (“Credi in te
stesso!!!“, “Forza,insisti…!!!“); talmente diverso perchè in realtà normale e mai
banale. Mettendo a posto i pezzi del puzzle nella mia testa, scoprii che l’approccio
al coaching di quella scuola era basato
sul modello di Coaching Strategico del prof. Giorgio Nardone e in più usava
anche il Problem Solving Strategico come la scuola di Arezzo (in realtà il
Problem Solving Strategico di Fym è stato da loro integrato con tanti altri
aspetti tipo l’attività di mappatura
degli sport, della parte Action Oriented, i Feedback ed altro).Tempo una decina
di giorni di approfondimento e decisi d’ iscrivermi al programma per diventare
Coach Sportivo presso la Scuola di Formazione e Coaching “Fym“ (i famosi diversamente
pazzi).
Cosa non è il Coaching che
tanto m’incuriosì…?
All’uopo, copio integralmente
ciò che Piercarlo Romeo (Ceo di Fym) ha scritto in un suo articolo:
Partiamo da cosa non è il coaching e da cosa non fa un coach.
Il coaching, come disciplina, non è terapia, non è medicina, non
è una religione, non è motivazione, non è una tecnica (PNL, NEI, Rebirthing,
Meditazione, etc…), non è psicoterapia, non è psicoanalisi, non è magia.
Il coaching è un intervento specializzato che punta allo
sviluppo delle potenzialità, al superamento dei limiti personali,
all’incremento delle performance (personali, professionali o sportive) e al
supporto nel raggiungimento di uno o più obiettivi.
Cosa non fa un coach?
Per prima cosa un coach non si autoproclama tale. La formazione
di un professionista di questa metodologia di aiuto richiede lo sviluppo
di conoscenze teoriche, competenze tecniche e abilità pratiche. Non basta
leggere un libro, pubblicare frasi motivazionali, fare un corso, essere belli e
simpatici, o non avere problemi (o credere di non averne!) per autoproclamarsi
coach!!! Un coach lavora con gli altri e PER gli altri, e da questo ne deriva
una grande responsabilità.
Un coach non è autocelebrativo. Un coach sa che chi raggiunge i
propri obiettivi e migliora le proprie performance è sempre e comunque il
proprio cliente. Un coach vince se il cliente vince, ma non si prende il merito
della vittoria: sa che è del cliente.
Un coach non dà risposte. Un coach sa che il suo ruolo non è
dare risposte ma sviluppare il potenziale del proprio cliente attraverso
domande specifiche e strategiche, o supportarlo nel superare alcuni blocchi.
Quando dà risposte (può capitare) fa le dovute premesse al proprio cliente,
oppure in alcuni momenti decide di operare come consulente, e non più come
coach.
Un coach non squalifica altre professionalità. Troppi coach si
sentono migliori degli psicologi, degli psicoterapeuti o dei counselor (e a
volte anche viceversa). Chi ha questo atteggiamento ci rivela alcune
informazioni su di sé: per prima cosa non ha capito bene le aree di
competenza del coaching, quelle della psicoterapia e quelle del counseling.
Anzi, i migliori coach, proprio conoscendo le proprie aree di
competenza, quando ce ne è bisogno, inviano i propri clienti ad altre
professionalità. Personalmente, molte persone che mi contattano le invio dalla
psicoterapeuta: in quei casi, da coach professionista, non posso far altro che
usare le mie competenze per persuadere il potenziale cliente della necessità di
un intervento specialistico differente.
Un coach non usa un insieme di tecniche, ma usa una
metodologia sistematica, protocollata ma flessibile, che prevede l’uso di varie
tecniche in diversi momenti del processo di coaching.
E poi aggiungerei che un Coach non smette mai di formarsi, di
informarsi e di aggiornarsi. Lavora continuamente su di sé, sulla propria
metodologia, sugli strumenti che usa. Amplia continuamente le sue conoscenze
personali (in modo trasversale), sviluppa continuamente nuove competenze, nuove
abilità e migliora le proprie capacità, personali e professionali.
Un coach non fa cosa non dovrebbe fare un coach.
Concludendo, non prometterò
mai a un cliente il raggiungimento di un certo risultato o la risoluzione sicura
di un problema, questo solo Uno può farlo e vive nell’alto dei cieli.
Parafrasando Annibale, al
cliente dirò sempre: ”Noi troveremo una strada oppure ne apriremo una nuova”.
Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -
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