domenica 5 aprile 2020

Resistenze al cambiamento.

Faccio una dovuta premessa. Ho studiato presso la Scuola di Formazione Formatori e Coaching FYM e alcuni contenuti di questo scritto sono tratti dalla sinossi del loro Corso di Protocolli di Coaching.
C'è sempre una RESISTENZA AL CAMBIAMENTO, individuale o sistemica.
Il Coaching, almeno nel Modello Strategico, non cerca di sconfiggerla o di eliminarla ma di prenderne atto e sfruttarla, in modo da generare un cambiamento.
Esistono quattro tipi di Resistenze:
- Tipo COLLABORATIVO;
- Tipo VORREBBE MA NON PUO';
- Tipo OPPOSITIVO;
- Tipo  NON PUO' NE' COLLABORARE NE' OPPORSI (Tipo Ideologico).
Un fattore importante da ricordare è che queste non sono le caratteristiche del coachee ma lo sono del suo comportamento in determinati momenti del percorso di coaching.
Le prime resistenze possono già aversi nella primissima fase del processo di Coaching, nel caso in cui il committente possa non coincidere col coachee. Quest'ultimo, infatti, potrebbe mostrarsi poco propenso ad iniziare il percorso oppure avere proprio avversione verso il Coach.
Anche durante la fase d'indagine, sicuramente, ci saranno delle riluttanze al cambiamento, come quando si avvierà la ricerca delle tentate soluzioni disfunzionali e delle eccezioni positive.
Un covo di resistenze potrebbe nascondersi nel definire o nel ridefinire l'obiettivo ma anche in una parafrasi malfatta oppure una ristrutturazione poco strategica, nella stessa sessione e/o anche contemporaneamente ma il Coach ha a disposizione delle tecniche, per scoprirle, gestirle e sfruttarle.
Può capitare che tra una seduta e l'altra il coachee non agisca, lo faccia parzialmente o a modo suo, l'indicazione di lavoro che il Coach gli ha dato, anche questa è una resistenza.

Andiamo adesso a vedere singolarmente le resistenze al cambiamento:



  •  Tipo COLLABORATIVO. Può sembrare una contraddizione nei termini ma accade quando, il coachee sembra possedere tutte le risorse logiche ed emotive per poter cambiare ed è accondiscendente a quanto condiviso con lui. La sensazione che evoca nel Coach è quella di soddisfazione perchè vede nell'altro la voglia di fare ma l'errore grave che egli possa fare è quello di abbassare la guardia e dare per scontato che poi il cliente agisca. Come agirà il Coach difronte a questo comportamento? Semplicemente, accetterà la collaborazione però misurandola a poco a poco, in modo che gli venga mostrata nei fatti concreti. Si dovranno creare dei momenti di controllo facendo attenzione che questi non siano subiti dal coachee ma che gli vengano proposti previo accordo e come risorsa.
  • Tipo VORREBBE MA NON PUO'. Il coachee razionalmente comprende che deve cambiare (a livello logico segue il Coach) ma non riesce a compiere i piccoli passi perchè potrebbe avere un blocco emotivo e il driver del piacere che lo porti a fare altro oppure un blocco comportamentale cioè che faccia prioprio fatica ad agire certe azioni. La sensazione che genera nel coach  è quella di dispiacere o di quasi compassione. La tattica che userà il Coach sarà quella di usare manovre dirette o velate per indurre al cambiamento il coachee.
  • Tipo OPPOSITIVO.  Non è la persona ad essere oppositiva  ma è la sua resistenza. Il Coach la riconosce perchè la sensazione che evoca è quella di rabbia o fastidio in quanto la persona o squalifica il suo intervento, oppure si oppone alle proposte o non segue le indicazioni. Questa sembrerebbe una resistenza difficile o insidiosa da "lavorare" ma, in realtà una volta che il Coach ha superato la "sua trappola" (nel senso di prenderla sul personale) non gli sarà difficile proseguire. In che modo? Chiedendo al coachee d'agire proprio la resistenza creando un doppio legame vantaggioso. Esempio: Il cliente contesta l'indicazione di lavoro del Coach e inizia a fare il bastian contrario. Controindicativamente il Coach potrebbe chiedergli proprio di "fare le pulci" a quella sua indicazione. Questo va fatto in modo funzionale e non come una squalifica per il coachee. L'indicazione potrebbe diventare:"Guarda, visto che hai un'attenzione alta verso quello che sai già possa riuscire o meno, ti chiedo di fare un'attività e di stare ben attento a tutto quello che potrebbe andar bene, andar male oppure tutti i problemi che potrebbero generarsi da questa". Praticamente il Coach gli fa fare quello che lui, coachee, sta già facendo. Ma doppio legame cosa vuol dire? Vuol dire che possono succeddere due cose: 1) Che il coachee faccia ciò che gli è stato chiesto. In questo caso, la cosa importante è che ha fatto, non quello che voleva lui ma quello che il Coach gli ha indicato e la resistenza da tipo OPPOSITIVO sta andando nella direzione di tipo COLLABORATIVO. 2) Potrebbe vincere la resistenza del coachee e lo stesso dire:"No, guarda non ho tempo di stare qui a verificare, a scrivere e a  fare le pulci...". Anche in questo caso il Coach e il coachee (a sua insaputa) avrebbero avuto la meglio sulla resistenza in quanto il cliente avrebbe smesso di opporsi. Si chiama doppio legame perchè è funzionale qualsiasi direzione, delle due, venga presa.
  • Tipo NE' COLLABORARE, NE' OPPORSI (Tipo IDEOLOGICO). Il coachee dimostra una rigidità mentale che non gli permette d'uscire dalla propria visione, sollevando questioni di principio invece di restare nel merito della conversazione; praticamente si parte per la tangente. In questo caso la trappola che il Coach deve evitare è quella di voler spiegare oppure convincere perchè, dall'altra parte, il cliente farebbe lo stesso, cercando di portare le sue motivazioni. La sensazione che evoca questo tipo di resistenza e che il coachee sia "fatto di coccio". Per questo tipo di persistenza ci vuole più tempo. Il coach deve fare buon uso della comunicazione strategica e di tutto il processo persuasorio, entrare nella logica rigida del cliente, assumerne i codici linguistici e attributivi, inserendo nella logica degli elementi  che non la contraddicano o la squalifichino ma che la riorientino verso nuove direzioni, fino alla ristrurazione.
Ogni tecnica usata farà leva su uno stratagemma per ristrutturare la resistenza al cambiamento in atto.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

lunedì 20 gennaio 2020

L'Equilibrio Emotivo... C'è posta per te.


Il modello di Equilibrio Emotivo lavora col principio che ogni emozione veicoli un messaggio specifico. (L’Equilibrio Emotivo di Piercarlo Romeo).
Chiedendoci, prima di provare un’emozione, quale sia il messaggio, risparmieremmo la fatica di capire, dopo, il perché l’abbiamo "sentita". Non esistono Emozioni positive e non esistono Emozioni negative come in quasi tutti i modelli si tende a categorizzare, esistono solo Reazioni positive o Reazioni negative alle Emozioni. Il sapere che un’Emozione è negativa a priori, nel momento in cui la proviamo può diventare un dramma con tutto quello che poi comporterà, fino a sfociare nella colpevolezza.
Quando si prova un'Emozione, avviene un mutazione dello stato psicofisiologico cioè cambia l’attivazione fisica e il focus mentale. Conoscendo il modello di EQUILIBRIO EMOTIVO, una persona potrà trarre il massimo da questa variazione senza restarne vittima. Questo, nello sport è FONDAMENTALE. Facciamo un esempio: Un atleta potrà avvertire paura ma se conosce il “modello”, riconoscerà il messaggio che gli è giunto, come equilibrarla e come prepararsi a…
Analizziamo adesso alcune emozioni utilizzando lo schema come da schede della scuola di Coaching e Formazione Formatori Fym:
PAURA
Reazioni Fisiologiche: Sudorazione, battito cardiaco accelerato, aumento della pressione sistolica e diastolica, blocco respiratorio o affanno.
Come reazione fisiologica non verbale si può avvertire un allontanamento dallo stimolo oppure una riduzione della figura.
Aspetti mentali: Focus sullo stimolo, autoprotezione.
Messaggio: C’è un pericolo? Questo pericolo è reale o emotivo? 
Azione di equilibrio: Fisico: Si è bloccato il respiro, iniziare a respirare; Mentale: Chiedersi se quel pericolo sia reale oppure no e che vantaggio ci sarebbe ad affrontare quella situazione.
RABBIA
La RABBIA è energia e questa va trasformata in energia del cambiamento.
Reazioni fisiologiche: Sale l’energia, aumento ritmo respiratorio, chiusura delle pupille.
Aspetti mentali: Focus sull’obiettivo.
Messaggio: C’è qualcosa di diverso rispetto a quello che desideravo, quindi c’è bisogno di un cambiamento. Chiedersi quale sia il cambiamento più funzionale.
Azione di equilibrio: Il problema della rabbia è che talvolta la reazione è più forte, come azione di equilibrio si userà lo stesso registro della reazione ma con contenuto diverso. Esempio: Invece di mandare a quel paese una persona, con la stessa veemenza, lo si inviterà a bere un caffè. In questo modo si mantiene il tono, la relazione e cambia il contenuto ma soprattutto non si fanno danni. Altra azione di equilibrio è quella di verbalizzare la rabbia, quasi come fosse un avvertimento.

TRISTEZZA/DOLORE

La logica che sottende questa emozione è quella della separazione.
Reazioni fisiologiche: Abbassamento dell’energia, pianto, depressione.
Aspetti mentali: Pensieri negativi, focus sull’accaduto.
Messaggio: C’è qualcosa che devo accettare, non è tutto sotto il nostro controllo.
Azione di equilibrio: Chiedersi cosa farebbe dire d'aver superato quel momento.

DISGUSTO/DISPREZZO
Reazioni fisiologiche: Allontanamento dallo stimolo.
Aspetti mentali: Allontanamento mentale dallo stimolo.
Messaggio: Questa cosa mi fa bene oppure no?
Azione di equilibrio: Rieducare il gusto.
Se la cosa non piacesse e non facesse bene, starne lontani.

SORPRESA
La SORPRESA è l'Emozione più manipolativa che esista per un motivo molto semplice: apre i nostri canali ricettivi.
Reazioni fisiologiche: Si "aprono": bocca, occhi e orecchie".
Aspetti mentali: Focus verso lo stimolo.fino a quando non c'è comprensione dello stesso.
Messaggio: C'è qualcosa di nuovo
Azione di equilibrio: Questo stimolo merita la mia attenzione?

GIOIA/PIACERE
Reazioni fisiologiche: Ci avviciniamo allo stimolo.
Aspetti mentali: Focus sullo stimolo.
Messaggio: Questa cosa fa bene per me?
Azione di equilibrio: Se è una cosa che piace e non fa bene, smettere, se fa bene e non piace, iniziare a usarla o farsela piacere.

VERGOGNA

Reazione fisiologica: Ci nascondiamo.
Aspetti mentali: Cerchiamo di tener nascosto il fatto.
Messaggio: Gli diamo un valore e poi vediamo se questo è sociale oppure solo nostro.
Azione di equilibrio: Chiedersi se è un valore che si condivide, domandarsi:"... e se lo dicessi prima, cosa succederebbe?

IMBARAZZO

Reazione fisiologica: Balbettio, diventare rossi.
Aspetti mentali: Cerchiamo di controllare le reazioni fisiologiche.
Messaggio: C’è un’abilità da migliorare, c’è una situazione con la quale dobbiamo ancora imparare a controllarci.
Azione di equilibrio: Dichiarare subito l'emozione, svelare ciò che invece si vuole nascondere

FRUSTRAZIONE
Reazione fisiologica: Irrigidimento.
Aspetto mentale: Percezione d’impotenza, focus sulla performance non realizzata.
Messaggio: Fermarsi e valutare la direzione, la qualità e l’intensità degli sforzi ma anche gli strumenti che si stanno usando.
Azione di equilibrio: Fermarsi e ottenere un punto di vista esterno.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

giovedì 31 ottobre 2019

Feedback? Si,grazie.

Il FEEDBACK è uno degli strumenti che maggiormente può aiutare la crescita di una persona o di una organizzazione. Saper agire questa retroazione, cioè saperne dare o ricevere, riveste un ruolo molto importante all’interno di questo sviluppo. Il mio sogno è far diventare questo “mezzo” una sana abitudine affinchè, col tempo, possa divenire una vera e propria cultura. I feedback possono essere:
GENERICI POSITIVI (aumentano l’autostima e migliorano la relazione);
GENERICI NEGATIVI (riducono l'autostima e peggiorano la relazione);
SPECIFICI POSITIVI (rinforzano i comportamenti funzionali e efficaci);
SPECIFICI NEGATIVI (utili per correggere dei comportamenti disfunzionali). Quando si dà un feedback bisogna farlo in modo efficiente, tale che esso non generi resistenza nell’interlocutore, perciò teniamo in considerazione alcune cose: 
. Febbre emotiva. Valutare bene il momento;
. Accordo. Ci deve sempre essere e non si dà per scontato che l’altro voglia ascoltare. In alcuni ruoli, l’accordo è implicito però bisogna sempre renderlo esplicito;
. Specifico. Perchè il generico è opinabile e può generare resistenze;
. Effetti. Talvolta può essere utile rendere espliciti gli effetti negativi del feedback; 
. Personalizzato. Se quello che si sta per dire è un’opinione, si deve sottolinearlo;
. Alternativa. All’interno del feedback è utile sempre fornire un’alternativa comportamentale;
. Supporto. Si offre sostegno, assistenza alla persona a cui si dà il feedback.
Anche quando si riceve un feedback è buona norma osservare dei comportamenti per renderlo funzionale. All’uopo mi viene in aiuto un acronimo: S.A.G.R.A., nato alla scuola di formazione Fym, attraverso il quale un feedback si accoglie: in SILENZIO per non creare attriti possibili, si ASCOLTA con attenzione per educazione e per non generare resistenze e alla fine si conclude con un “GRAZIE“, anche se ciò che è stato detto possa essere qualcosa di negativo. Ringraziare oltre ad essere un segno di buona educazione, se l'interlocutore volesse creare delle difficoltà, probabilmente funzionerebbe da deterrente, al contrario se volesse dare un sostegno, ne sarebbe gratificato. Dopo qualche giorno, valutando il tipo di feedback, la fonte e quant’altro, si passa alla RACCOLTA DIFFERENZIATA di ciò che è stato ritornato e si prendono le informazioni più utili al momento senza comunque tralasciare le altre indicazioni avute che possono essere rivalutate più tardi e con ancora più calma. Infine si passa all'AZIONE mettendo in pratica con fatti reali gli apprendimenti.
Una cosa importante da ricordare è che un feedback comunicato o ricevuto nella maniera adeguata possa non sortire risultati positivi, perciò si dovrà imparare a valutarlo non nelle sue intenzioni ma per gli effetti che genererà.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -


venerdì 18 ottobre 2019

Ciro Di Palma ha... "La Pelle Azzurra".


Intervento alla presentazione del Progetto "La Pelle Azzurra".
Milano, 07 ottobre 2019.





LA PELLE AZZURRA
è il progetto
che si impegna ad accompagnare nel miglioramento delle performance
mille atlete ed atleti italiani – olimpici, paralimpici ed eSporter –
per le prossime quattro edizioni delle Olimpiadi.
LA PELLE AZZURRA
tende verso l’eliminazione delle barriere
fisiche, economiche e di opportunità.
hashtag

mercoledì 16 ottobre 2019

La Comunicazione Strategica



In ogni istante della nostra esistenza comunichiamo un qualcosa, per cui una buona comunicazione diventa uno dei  fattori principali della nostra vita. Da Coach posso affermare che uno dei pilastri del mio lavoro è la Comunicazione Strategica. Questa mi dà la possibilità d’interagire con i coachee  avendo l’opportunità d’aggiungere punti di vista diversi ai loro occhi.
La Comunicazione Strategica pone la persona che ho di fronte in condizione  di mettere in discussione alcuni punti fissi che non gli danno risultati o che non gli consentono di averne e il suo valore aggiunto è che, la persona stessa, si apra a questo punto di vista e ciò non è del tutto scontato.
Questo tipo di comunicazione richiede flessibilità.  Essere  flessibili  a volte non significa comunicare bene anzi, si può anche comunicare male purchè sia funzionale. Un Coach deve sempre considerare la Comunicazione nei suoi effetti sistemici cioè nei cambiamenti che produrrà o che non produrrà, se comunica in modo corretto ma non otterrà il risultato sperato, servirà a poco; se comunica in maniera non appropriata ma raggiungerà lo scopo, ciò sarà utile.
La Comunicazione è un processo:
. SISTEMICO (influenza reciproca);
. PRAGMATICO (contano gli effetti);
. STRATEGICO (ognuno ha degli obiettivi).
 Non esiste un modo migliore o peggiore per comunicare ma bisogna calibrare lo stile comunicativo in base alla realtà del momento.
La Comunicazione Strategica insegna l'arte del vincere senza combattere lavorando contemporaneamente su tre aspetti:
. EFFICACIA COMUNICATIVA;
. EFFICIENZA COMUNICATICA;
. ELEGANZA COMUNICATIVA .
Conoscere questo tipo di comunicazione permette di capire meglio gli interlocutori e di ridurne l'eventuale conflittualità. La Comunicazione  Strategica  è sintonica e non empatica, cioè deve porre il Coach sulla stessa lunghezza d’onda del coachee ma non necessariamente poi il Coach dovrà provare le stesse  cose del cliente.
Comunicare non è: ”Te l’ho detto io!!!”, questo non lo dimentichiamo mai. A volte il miglior modo di comunicare le cose è non comunicarle direttamente.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -

martedì 1 ottobre 2019

Io e il Coaching… Questi sconosciuti.


Perché sono un Coach ?
Sono stato un atleta e ad un certo punto della mia carriera sportiva, se avessi avuto accanto a me questa figura, probabilmente avrei visto alcune cose in modo diverso, fatto delle valutazioni differenti e operato in maniera dissimile da quella poi agita.
Qualche anno fa, a seguito di una mancata convocazione al Campionato Mondiale della 24 ore di corsa, ho avuto quello che poi col tempo e gli studi ho imparato a definire, un BLOCCO DELLA PERFORMANCE, cioè non sono più riuscito a conseguire “certi” risultati nonostante gli allenamenti fossero sempre gli stessi e la gente mi dicesse: ”Sei, bravo!!!“, “Sei forte!!!“, “Credi in quello che fai!!!“, “Credi in te stesso!!!“. NIENTE, ASSOLUTAMENTE NIENTE, al punto che decisi d’abbandonare quel tipo di gare.
Non cercai una spiegazione o un perchè dell’accaduto ma cominciai a leggere qualche libro sul comportamento delle persone e sulle risposte che hanno agli stimoli. Ad un certo punto, girovagando nel web, trovai il termine MENTAL  COACH.
Iniziai a documentarmi su questa professione di cui avevo già sentito parlare, della quale avevo una conoscenza appena sufficiente, credevo ma in realtà, scarsissima… Più leggevo e più le idee si confondevano… Nel mondo del coaching c’è di tutto e di più. Provate, in un motore di ricerca, a scrivere la parola COACHING, troverete il circo Barnum. Un giorno avevo appena finito di leggere un libro del prof. Nardone dove tra l’altro spiegava: “… che troppo spesso, di fronte a un problema, si ha la tendenza a cercare la spiegazione piuttosto che la soluzione” e mettendomi al computer  trovai dei diversamente pazzi di una scuola di coaching (Fym) che spiegavano: ”COSA NON E’ IL COACHING“.
Il libro e quella scuola mi colpirono particolarmente. Tutto così diverso, tutto molto fuori dagli stereotipi di quello che pensavo fosse la soluzione per risolvere i problemi (il cercare di capire) e di quello che potesse essere un Mental Coach (“Credi in te stesso!!!“, “Forza,insisti…!!!“); talmente diverso perchè in realtà normale e mai banale. Mettendo a posto i pezzi del puzzle nella mia testa, scoprii che l’approccio al coaching di quella scuola era  basato sul modello di Coaching Strategico del prof. Giorgio Nardone e in più usava anche il Problem Solving Strategico come la scuola di Arezzo (in realtà il Problem Solving Strategico di Fym è stato da loro integrato con tanti altri aspetti tipo l’attività  di mappatura degli sport, della parte Action Oriented, i Feedback ed altro).Tempo una decina di giorni di approfondimento e decisi d’ iscrivermi al programma per diventare Coach Sportivo presso la Scuola di Formazione e Coaching “Fym“ (i famosi diversamente pazzi).
Cosa non è il Coaching che tanto m’incuriosì…?
All’uopo, copio integralmente ciò che Piercarlo Romeo (Ceo di Fym) ha scritto in un suo articolo:

Partiamo da cosa non è il coaching e da cosa non fa un coach.
Il coaching, come disciplina, non è terapia, non è medicina, non è una religione, non è motivazione, non è una tecnica (PNL, NEI, Rebirthing, Meditazione, etc…), non è psicoterapia, non è psicoanalisi, non è magia.
Il coaching è un intervento specializzato che punta allo sviluppo delle potenzialità, al superamento dei limiti personali, all’incremento delle performance (personali, professionali o sportive) e al supporto nel raggiungimento di uno o più obiettivi.
Cosa non fa un coach?
Per prima cosa un coach non si autoproclama tale. La formazione di un professionista di questa metodologia di aiuto richiede lo sviluppo di conoscenze teoriche, competenze tecniche e abilità pratiche. Non basta leggere un libro, pubblicare frasi motivazionali, fare un corso, essere belli e simpatici, o non avere problemi (o credere di non averne!) per autoproclamarsi coach!!! Un coach lavora con gli altri e PER gli altri, e da questo ne deriva una grande responsabilità.
Un coach non è autocelebrativo. Un coach sa che chi raggiunge i propri obiettivi e migliora le proprie performance è sempre e comunque il proprio cliente. Un coach vince se il cliente vince, ma non si prende il merito della vittoria: sa che è del cliente.
Un coach non dà risposte. Un coach sa che il suo ruolo non è dare risposte ma sviluppare il potenziale del proprio cliente attraverso domande specifiche e strategiche, o supportarlo nel superare alcuni blocchi. Quando dà risposte (può capitare) fa le dovute premesse al proprio cliente, oppure in alcuni momenti decide di operare come consulente, e non più come coach.
Un coach non squalifica altre professionalità. Troppi coach si sentono migliori degli psicologi, degli psicoterapeuti o dei counselor (e a volte anche viceversa). Chi ha questo atteggiamento ci rivela alcune informazioni su di sé: per prima cosa non ha capito bene le aree di competenza del coaching, quelle della psicoterapia e quelle del counseling. Anzi, i migliori coach, proprio conoscendo le proprie aree di competenza, quando ce ne è bisogno, inviano i propri clienti ad altre professionalità. Personalmente, molte persone che mi contattano le invio dalla psicoterapeuta: in quei casi, da coach professionista, non posso far altro che usare le mie competenze per persuadere il potenziale cliente della necessità di un intervento specialistico differente.
Un coach non usa un insieme di tecniche, ma usa una metodologia sistematica, protocollata ma flessibile, che prevede l’uso di varie tecniche in diversi momenti del processo di coaching.
E poi aggiungerei che un Coach non smette mai di formarsi, di informarsi e di aggiornarsi. Lavora continuamente su di sé, sulla propria metodologia, sugli strumenti che usa. Amplia continuamente le sue conoscenze personali (in modo trasversale), sviluppa continuamente nuove competenze, nuove abilità e migliora le proprie capacità, personali e professionali.
Un coach non fa cosa non dovrebbe fare un coach.
Concludendo, non prometterò mai a un cliente il raggiungimento di un certo risultato o la risoluzione sicura di un problema, questo solo Uno può farlo e vive nell’alto dei cieli.
Parafrasando Annibale, al cliente dirò sempre: ”Noi troveremo una strada oppure ne apriremo una nuova”.

Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -