giovedì 29 agosto 2024
Riconoscimento internazionale.
venerdì 3 novembre 2023
giovedì 14 settembre 2023
Problem Solving Strategico... in pillole.
In presenza di un blocco della performance: sportiva o lavorativa; la sequenza del Problem Solving Strategico può esserci d'aiuto. Questo metodo permette d'avere una guida precisa e rigorosa, tenendo ben presente un fattore, quello di non passare allo step successivo se non si è realizzato bene quello precedente. Ciò, a occhi ingenui potrà sembrare una perdita di tempo ma, questo partire dopo, permetterà di arrivare prima all'obiettivo, trasformando i blocchi in opportunità seguendo un percorso che libera risorse, guida e inserisce piccoli, al contempo graduali cambiamenti che diventano poi valanghe di cambiamento.
Il primo passo da compiere in questo percorso è la DEFINIZIONE DELL'OBIETTIVO che vogliamo raggiungere. Potrebbe sembrare scontato ma anche l'ovvio va dimostrato (cit. G. Nardone). Perchè non è facile definire un obiettivo è presto detto... La nostra mente racconta molte storie, quasi sempre quelle che vogliamo sentirci dire, così anche la memoria ci gioca brutti scherzi raccontando tante bugie; in questo modo, noi ci autoinganniamo anche su quello che vogliamo. Definire, quindi, chiaramente un obiettivo è il primo passo, quello importante verso il suo raggiungimento. Facile? No, non lo è. Per farlo a volte impieghiamo tanto tempo.
ANALIZZARE LE PROBLEMATICHE che non permettono il raggiungimento dell'obiettivo è il secondo step del Problem Solving Strategico. Trovare le difficoltà che non consentono il cambiamento strategico è essenziale e anche questa azione deve essere molto accurata.
La terza fase, fondamentale, è cercare LE TENTATE SOLUZIONI DISFUNZIONALI, mettendosi alla ricerca anche di quelle azioni agite in passato, che hanno portato un risultato ma che al momento funzionano meno. Tante volte sono proprio le tentate soluzioni che alimentano il problema stesso. Non di rado capita che un atleta, un manager mettano in atto delle strategie usate con successo precedentemente, questo perchè una volta raggiunto un equilibrio si tende a mantenerlo, a maggior ragione se il risultato avuto fosse stato eccellente. Le tentate soluzioni possono essere consapevoli ma anche inconsapevoli, possono essere pensieri, azioni che vanno analizzate e svelate nei loro meccanismi di alimentazione del problema. Una volta identificate queste azioni disfunzionali dobbiamo introdurre delle soluzioni alternative. Facile a dirsi, meno a farsi... Dobbiamo, quindi, trovare un modo che renda possibile ciò. Ci sono tre tecniche che vengono in aiuto: LO SCALATORE, che rende apparentemente graduale il cambiamento; IL COME PEGGIORARE che utilizza una logica paradossale (ottenere qualcosa spingendo nella direzione opposta); LO SCENARIO OLTRE IL PROBLEMA, tecnica di fantasia che riportata nella realtà in piccoli pezzi, ci permette poi di agirli partendo dal più piccolo.
Voglio concludere usando una citazione del prof. Nardone... Il Problem Solving Strategico è "un modello che modella" cioè, se applicato al nostro modo di vedere e non solo nella risoluzione dei problemi, ci modella, rendendoci la mente più flessibile... Diventando così: UN MODO PER MIGLIORARE NOI STESSI.
giovedì 30 giugno 2022
Capire per cambiare? Cambiare per capire.
Il CAMBIAMENTO. Capire per cambiare oppure cambiare qualcosa per capire sempre di più? Quando siamo davanti ad una condizione di blocco, la prima azione, la più immediata che mettiamo in atto è quella di pensare, di capire che cosa stia impedendo lo svolgimento fluido della situazione. E' normale, è inevitabile, è come se l'essere umano fosse programmato per cercare il perchè di certi stati. La squadra ha perso tre partite di fila... Perchè è successo? Perchè non ha funzionato? Così si comincia a pensare dove operare per invertire la rotta, cercando di trovare l'area di miglioramento... Tante volte però, il bandolo della matassa non si trova e proprio perchè ci si cristallizza in questo stato mentale. Non dobbiamo rimanere sorpresi da ciò perchè anche nella vita di tutti i giorni si verifiano queste situazioni. Un esempio? Il genitore che cerca di far capire al figlio del perchè abbia una performance scolastica non sufficiente. C'è un errore di fondo in tutto ciò ed è quello che si dia per scontato che capire qualcosa corrisponda poi ad un cambiamento nella realtà. Quante volte un atleta capisce che si alleni poco per avere un certo tipo di performance ma, pur sapendolo, non fa niente che andrebbe nella direzione del cambiamento? Quante volte un personaggio sportivo s'innervosisce in conferenza stampa dando una pessima immagine di se stesso ma pur riconoscendosi questa particolarità non fa niente per esprimersi diversamente? Io, da Coach mi chiedo cosa possa celarsi dietro questo atto di autosabotaggio dell'essere umano che non gli permette il cambiamento. La risposta è semplice ma non banale, tante volte il solo capire non basta. La cognizione, parola che deriva dal verbo latino cognosco (con 'con' + gnōscō 'sapere'), il quale a sua volta è affine al verbo greco antico gignόsko, che significa 'io so' (sostantivo: gnόsis, conoscenza), può anche non bastare e può anche non funzionare. All'improvviso però, la squadra comincia a vincere, l'atleta inizia ad allenarsi con continuità e si resta sconcertati da questi cambiamenti improvvisi, quasi fortuiti. Ci si accorge di questa trasformazione non perchè si è "capito" ma perchè guardando il cammino si nota di un cambiamento prodotto da certe azioni, questo è il mio lavoro, far in modo che avvengano certe metamorfosi facendo poi eventualmente capire, ma anche no, i tanti perchè. Quindi "Non è capire per cambiare ma cambiare per capire". Cambiare qualche piccola cosa, qualche dettaglio in modo da produrre anche un leggero cambio di rotta, senza stravolgere niente, cercando di andare nella direzione dei piccoli passi. Piccoli passi? Certo, perchè in questo modo si potrà sempre correggere il tiro (senza fare danni) se il cambiamento non andasse nella direzione sperata. Stravolgere tutto potrebbe anche causare un grande danno e tutto ciò non ce lo possiamo permettere. Naturalmente i cambiamenti non vanno inseriti a caso ma seguendo delle logiche rigorose seppur flessibili.
Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -
mercoledì 18 maggio 2022
Ti prometto che...
- Performance atletica;
- Performance tecnica;
- Performance tattico strategica.
Le Performance gestite dal Mental Coach Sportivo sono:
- Performance mentale. Come l'atleta usa la propria mente, non considerando solo i flussi di pensiero ma anche la capacità di gestire focus e defocus;
- Performance Emotiva. La gestione dei carichi emotivi: prima, durante e dopo la performance;
- Performance relazionale/comunicativa. Ha la sua centralità negli sport di squadra.
Un Mental Coach Sportivo non potrà mai promettere un risutato perchè questi è la risultante di tantissime variabili e circostanze ma potrà fornire agli atleti gli strumenti capaci di fargli superare le eventuali difficoltà: prima, dopo e durante la performance.
Questo ho riferito al mio interlocutore qualche settimana fa e, alla sua insistenza, ho declinato l'invito a collaborare con loro. Spero comunque vivamente che la squadra raggiunga la tanto desiderata salvezza.
Ciro Di Palma -Sport Mental Coach -
venerdì 1 aprile 2022
Paura, ansia e attacchi di panico...
Sarò molto sintetico. Cosa dovrei fare se un atleta mi riportasse come problemi: PAURA, ANSIA, ATTACCHI DI PANICO e la presenza di sintomi che connoterebbero queste tre PATOLOGIE? Farei come sempre un indagine e se scoprissi che, non è come spesse volte accade, solo il timore del manifestarsi di una difficolta legata a una prestazione, a un evento o quant'altro, non potrei che concludere la sessione rimandandolo ad un altro professionista (psicoterapeuta, psicologo, etc). Poche chiacchiere amici, un Mental Coach si occupa di performance (blocco, sostegno e sviluppo) e non di malattie, la legge non lo permette. Chi lo fa è anche uno psicologo o uno psicoterapeuta, il resto è semplicemente... fuorilegge.
Lascio ad altri scrivere paginate sull'argomento... Io chiudo qui.
Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -
mercoledì 9 marzo 2022
Ho voglia però non cambio... Perchè?
- Un sovraccarico di stimoli per la mente;
- Pochi dati a disposizione per elaborare delle scelte o mettere in pratica delle azioni;
- La premura;
- Una stima che la mente fa per quanto riguarda le conseguenze o le situazioni sulla base delle proprie (e ripeto proprie) conoscenze;
- Un processo di sintesi che riconosca nella frequenza di certi comportamenti o in azioni già compiute, le mosse da mettere in atto.
lunedì 31 gennaio 2022
Albert Mehrabian, in tanti ne parlano, in pochi lo "approfondiscono".
Dall'ultimo mio scritto "Ti guardo e ho capito!!!" ... Si, ma, forse..., ho ricevuto tanti messaggi da parte di molte persone che mi hanno accusato di non aver tenuto conto, per quanto riguarda la Comunicazione Non Verbale, dello studio di Albert Mehrabian, il quale (scrivono loro), afferma che la comunicazione è formata dal: 55% dal linguaggio del corpo, 38% dal paraverbale e 7% dal verbale.
Purtroppo, devo dire a questi amici, che il lavoro dello psicologo statunitense è stato divulgato e riportato male. Semplicemente perchè lo studioso circa cinquant'anni fa, dimostrò che era l'EFFICACIA e non la quantità della comunicazione ad essere influenzata dai tre canali e nelle percentuali a cui prima facevano riferimento. Faccio un semplice esempio per smontare l'errore dei lettori che mi hanno scritto. Se facessi un discorso di cui solo il 7% formato da parole e il restante 93% da gesti e movimenti, sfido chiunque a capire di cosa abbia parlato in quel 93%...
Per capire meglio, riassumo in questi punti:
- Le percentuali non sono relative alla quantità di informazioni;
- Le percentuali non sono relative alla qualità delle informazioni;
- Le percentuali indicano i diversi livelli di influenza sull'efficacia del messaggio;
- Fare attenzione però che le percentuali sono valide se uno dei tre canali dovesse essere incongruente rispetto agli altri;
- Le percentuali sono valide solo sulle comunicazioni a valenza emotiva.
Spero di essere stato chiaro del perchè non abbia citato lo studioso a stelle e strisce nello scorso articolo.
Ciro Di Palma - Sport Mental Coach -
giovedì 13 gennaio 2022
"Ti guardo e ho capito!!!"... Si, forse, ma...
Non voglio entrare nello specifico di quello che si è visto nell'incontro tra il giornalista e l'attaccante ma preferisco parlare più in generale e a grandi linee della comunicazione non verbale.
Il primo assioma della pragmatica della comunicazione umana, c'insegna che non si può non comunicare in quanto anche stando in silenzo, ogni gesto, ogni movimento è un atto comunicativo. Faccio un esempio: Una persona che difronte a noi, in treno, prenda il telefonino e inizi a giocare, non è che non comunichi, probabilmente ci sta dicendo che non ha voglia di farlo.
Il corpo nella maggior parte dei casi esprime sempre la verità ma sta noi riuscire a capire cosa indicano i segnali. Un fattore importante però è dire che non esistono segnali inequivocabili che indichino un qualcosa, per esempio:" Ha guardato in giù, allora non vuole il confronto o dice una bugia", "Mi sta fissando, racconta la verità". Leggendo Ekman possiamo vedere che uno stesso segnale può avere diversi significati. Una persona potrà dare, nello specifico dei segnali di paura magari perchè ha timore o di non essere creduto oppure di essere scoperto, allora starà a noi far attenzione a non recepirli, elaborarli e spiegarli in un senso o nell'altro a seconda dei nostri convincimenti.- Rinforzare un messaggio, cioè quando tutti i canali della comunicazione (linguaggio verbale, paraverbale e del corpo) convergono;
- Contraddire un messaggio, quando uno dei tre canali va in direzione diversa rispetto agli altri due;
- Sostituire un messaggio, quando il canale verbale è surrogato dal paraverbale e dai gesti.
giovedì 4 novembre 2021
Le domande...
Una delle cose più importanti del mondo odierno è la comunicazione, allo stesso modo, in una sessione di coaching strategico, il comunicare e il come farlo sono i pilastri del processo. Cosa ci sia alla base di questo procedimento non è una cosa astrusa, anzi... Provate a pensare a cosa possa essere, forza... E' semplicissimo a dirsi, un pò meno da mettere in pratica per ottenere dei risultati... Vi svelo l'arcano. LE DOMANDE.
Il processo di convincimento più potente che un coach abbia a disposizione è semplicemente porre delle domande. Nei secoli, i quesiti hanno fatto in modo che ci evolvessimo, gli interrogativi hanno portato a nuove scoperte. Una lettura semplicistica di ciò, farebbe affermare che avremmo trovato la soluzione a tutti i casi di coaching, invece no, perchè le domande poste con certe modalità potrebbero anche non facilitare ma peggiorare in modo abnorme le cose. "Non sono le risposte a creare dei problemi ma sono le domande che le creano" (cit. Kant) ma sono le stesse domande però che portano alla soluzione. Nella quotidianità così come nelle sessioni di coaching, la qualità del rapporto è data anche dal tipo di domande e dal come vengono formulate. In un contesto del genere, anche il coach deve avere l'abilità di porre quesiti o magari di riformularli nel caso in cui ricevesse una risposta che all'apparenza non gli fosse d'aiuto, al contempo facendo attenzione a non giudicarla. Un bravo Coach deve imparare a fare le domande con un certo criterio, con una determinata sequenza e forma fino a quando poi non gli diventerà spontaneo farlo. Gli interrogativi vanno posti strategicamente cioè devono avere un obiettivo da raggiungere. La distanza che intercorre tra la domanda e l'obiettivo è coperta dalla strategia. Le domande, sembrerà banale, devono essere poste in modo facile ma questo processo di semplificazione è difficile da compiersi perchè attraverso esso già si avvia un percorso di Problem Solving, quindi fare buone domande significa fare domande semplici, costruite bene e di facile comprensione. Ce ne sono di diversi tipi:
- aperte. Sono quelle che lasciano al coachee ampio campo di risposta. Esempio: "Cos'è successo?"; "Cos'hai fatto per...? Le domande aperte, generalmente vengono fatte all'inizio della sessione e servono anche per rompere il ghiaccio e creare relazione.
- chiuse. Sono quelle che ammettono come risposte solo: si o no. Esempio: "Ti sei allenato?", "Hai parlato col Mister?". Questo, è un tipo di domanda che non amo tanto perchè può mettere in difficoltà il coachee e può compromettere la relazione tra di noi.
- alternativa di risposta. Sono quelle che in qualche modo avviano, in parte, il coachee verso la risposta pur lasciandogli la piena autonomia nel farlo. Esempio: "Quell'azione, ti capita di farla in allenamento o solo in partita?". "Protesti verso l'arbitro quando subisci fallo tu oppure anche quando sono i tuoi compagni di squadra a riceverli?".
venerdì 3 settembre 2021
Il Modello di Coaching che vince... (mah?)
E' trascorso ormai un mese dalla fine dei giochi olimpici e tutti adesso hanno scoperto il "Mental Coach Sportivo". Si potrebbe parlare per ore di questa figura ma preferisco invece argomentare tra le pieghe dei modelli di coaching che esistono. Premetto, NON ESISTE IL MODELLO VINCENTE ma è l'atleta o la squadra che raggiungendo il risultato lo definisce tale al momento. Vale anche la pena precisare che solo alcuni sono validati scientificamente (per esempio, SFERA e STRATEGICO) ed altri no (PNL). Probabilmente sarebbe più corretto parlare di approccio e non di modello perchè ogni coach tende a personalizzare un approccio facendolo diventare poi un suo modello. Dopo aver letto e studiato, mi sono accorto che gli approcci vengono molto influenzati dalla cultura del luogo in cui nascono. Quelli inglesi, per esempio sono più soft e più orientati verso il formulare delle domande; quelli americani, molto caratterizzati dalla centralità assoluta della motivazione, della volontà della persona e del "se vuoi, puoi!!!". Si vedrà, poi che non è sempre così, anche se alla quasi totalità degli atleti, dei managers e delle persone in generale, piace sentirselo dire ma anche ai coach farlo credere. Cosa può ancora influenzare un metodo? Sicuramente il coach stesso: la sua etica, le sue scelte, il suo modo di agire e di porsi con le persone ma anche il suo linguaggio verbale e non verbale, persino il suo idioma, si perchè alcuni giochi di parole sono validi ed hanno un certo appeal solo se usati nella lingua originale e difficilissimi da applicare se tradotti da altre. Nell'elenco che segue, ci sono diversi tipi di modelli di coaching:
- A5;
- O.R.D.E.R .:
- G.R.O.W. ;
- STRATEGICO;
- S.F.E.R.A. ;
- ONTOLOGICO;
- UMANISTICO;
- P.N.L. :
- R.A.D.A.R. ;
- G.R.O.W. Expanded;
... e ancora tanti altri se ci mettessimo a cercare... .Come orientarsi in questo mare magnum di approcci? Molto semplice: leggere, informarsi, studiare. Banale? Forse ma è una delle poche soluzioni. E' difficile prendere una direzione perchè le varie scuole di coaching puntano a indirizzare l'aspirante coach unicamente verso di loro (un cliente in più). Naturalmente la differenza la fa la voglia della persona che vuole completare il proprio bagaglio di competenze per poi fare le sue valutazioni.Fondamentalmente ma semplifico molto, di un modello bisognerebbe capire quale sia il protocollo e quali le sequenze logiche insite. Molto importante inoltre, sarebbe carpirne la flessibilità applicativa verso i casi ma anche verso i coachee al contempo valutandone la rigorosità metodologica. Un fattore da non sottovalutare e per me importante, è la gestione delle resistenze nei vari modelli (in taluni mancano proprio gli strumenti atti a farlo). Ricordando sempre che tante volte la logica non è sempre lineare e quindi dire non significa poi far agire, anche se il coachee è sembrato assolutamente concorde.Allora, il modello vincente qual'è?Semplicemente, in partenza, non esiste un modello vincente.
sabato 31 luglio 2021
Alta Performance e Picco di Prestazione... Quale delle due?
Analizziamo la parola PERFORMANCE, essa deriva dal latino performare cioè dare una forma. "Otterremo una certa performance quando avremo dato una determinata forma alla nostra prestazione" (cit. Stefano Bartoli).
Un'alta prestazione, che è diversa dal picco di performance, può verificarsi raramente come colpo di fortuna; il nostro obiettivo quindi, sarà quello di alzare il livello in modo graduale e continuo in modo da acquisirla. Questo avverrà solo e soltanto con l'allenamento. Anche qui però c'è da fare alcuni distinguo perchè certe modalità di preparazione possono anche non portare alla performance (overtraining).
Alta prestazione, picco di prestazione... Ma cosa sono in realtà? Per farla semplice ma facile non è, possiamo dire che un campionato si può vincere con un'alta performance e la singola partita con un picco di performance, tenendo sempre presente però che l'una non esclude l'altra.
Faccio un caso personale, tempo fa, da amatore, correvo le maratone e allenadomi in un certo modo riuscii, in qualche anno, a portare il mio tempo da 3h 00' a 2h 43', quindi ad avere un'alta performance (guardatela sempre nell'ottica di livello amatoriale), diverso il discorso invece nella 24h di corsa nella quale ebbi un picco di prestazione (217km) che mai prima avevo sfiorato e che mai più in seguito avrei ribadito. Accadde che per tutta una serie di motivazioni (qualificazione per i campionati mondiali di specialità, presenza dei vertici federali, tifosi al seguito e ottimo allenamento svolto) probabilmente ebbi una visione distorta e diversa del momento che mi fece andare oltre quello che presumibilmente veramente valevo nella realtà. Possiamo dire quindi che il picco di performance è solo di un momento, solo di una gara? Probabilmente, si e può definirsi un effetto. Se all'epoca avessi avuto un Mental Coach Sportivo, probabilmente non avrei fatto tutta una serie di errori dopo, quando convinto di me, supportato dai tecnici e dall'opinione pubblica, nello sforzo di ripetere quella prestazione, continuai sempre ad incappare nelle stesse tentate soluzioni disfunzionali. Paradossalmente più mi allenavo e più inibivo la possibilità di avere un'alta performance, lasciando quei 217km come apice mai più raggiunto.
Un atleta di livello ma anche una qualsiasi altra persona e in qualunque altro ambito, dovrà perciò puntare mai al picco di prestazione (se non in determinati momenti) bensì all'alta prestazione.
Questa avrà un effetto, verosimilmente più lungo nel tempo, la si potrà allenare e organizzare in base alle qualità del singolo e per qualità non intendo solo quelle atletico - fisiche ma anche relazionali, mentali ed emotive. Creerà essa stessa un equilibrio diventando una dinamica con la quale affrontare le gare e non sarà più una rottura di un omeostasi e/o un effetto a certe situazioni. Tutto ciò l'ho vissuto sulla mia pelle.
Se ti va, leggi anche questo altro articolo molto interessante:
La Performance, la Motivazione e il Coaching Strategico.
mercoledì 30 giugno 2021
Coaching o Formazione?
Prima di cominciare, è doveroso e rispettoso ringraziare Fym, Scuola Coaching e Formazione Formatori, dalla quale ho preso i tre schemi che vedrete in seguito.
In questi ultimi anni ho avuto la fortuna di confrontarmi con diverse persone che ruotano del "variegato" mondo del coaching: coach, coachee, giornalisti, sportivi, manager, dirigenti e tantissimi altri. Ho notato però una grandissima confusione su un tema: Coaching e Formazione. Si, perchè in gran parte di queste persone, è radicata l'idea che possano essere la stessa cosa invece sono due materie molto diverse tra loro. Non molto tempo fa un manager di una multinazionale mi disse:" Abbiamo dovuto licenziare un coach che, erogando la sua formazione, non ha motivato il gruppo e non ha raggiunto gli obiettivi che aveva dichiarato in fase di assunzione". Ascoltando queste parole, un brivido mi ha percorso la schiena perchè non condividevo, in linea di massima, quello che udivo.
Punto uno, il Coach non è un Formatore (può anche esserlo, se non in qualche sporadico caso);
Punto due, il Coach non è un Motivatore (anche qui, lavorare sulla motivazione può essere però dopo aver fatto alcuni passi...);
Punto tre, un coach non dichiara gli obiettivi ("Vi farò raggiungere questi risultati...").
Per spiegare meglio il concetto, uso uno schema che la scuola di Coaching e Formazione formatori Fym ha creato all'uopo ed in relazione anche ad altre tipologie d'intervento.
In questo riquadro è stata fatta la distinzione: gruppo (one to few / one to many) - individuo (one to one) e apprendimento emotivo - apprendimento cognitivo. Nascono così quattro quadranti con cinque tipologie d'intervento, naturalmente tutte diverse tra di loro.
lunedì 3 maggio 2021
Lavorare sull'AUTOSTIMA... Una boiata sesquipedale!!!
domenica 4 aprile 2021
Dentro la Comunicazione Non Verbale
- 7% verbale, il contenuto nudo e crudo, la trascrizione fedele di ciò che si dice, senza punteggiatura;
- 38% paraverbale, (para, significa informo) tutto quello che è intorno alle parole: volume , intensità, timbro, pause, ecc.;
- 55% linguaggio del corpo, quello che vedono gli occhi.
- Rinforzare un messaggio, Non verbale e Verbale sono congruenti;
- Contraddire un messaggio, Non Verbale e Verbale sono incongruenti;
- Sostituire un messaggio, Non verbale presente e Verbale assente.
- Segnali di rivelatori di sensazioni (rifiuto, tensione o gradimento) oppure di emozioni (microespressioni);
- Segnali di falso, quando notiamo questi messaggi non è sempre vero che l'altro stia mentendo.
mercoledì 3 marzo 2021
L'importanza della Comunicazione NON Verbale.
Lo studio delle espressioni e della comunicazione è fondamentale per conoscere meglio gli altri e noi stessi. L'obiettivo però non è quello di fare i detective ma: d'interessarci agli altri, di migliorare noi stessi e i processi d'interazione che ci vedono coinvolti. La CNV è uno degli strumenti più importanti a tale scopo. Aumentare i livelli d'attenzione verso chi ci sta difronte può fare la differenza. Conoscere i segnali del corpo e che lo stesso c'invia riveste un ruolo importante. Si parla spesso di ascolto attivo, l'esperienza ci ha portato a sostenere che gli organi d'ascolto sono quattro:
- Orecchie;
- Occhi;
- Corpo;
- Cuore.
Ascoltare col cuore vuol dire creare una connessione da essere umano a essere umano, da anima a anima e per arrivare a ciò serve appunto ascoltare: con le orecchie, con gli occhi e col corpo.
E' molto importante conoscere anche la nostra CNV perchè se ci accorgiamo che stiamo dando dei messaggi accompagnatori che potrebbero essere intesi in diverso modo dal nostro interlocutore, dovremmo cambiarla. Della CNV prenderemo in considerazione oltre che alla parte involontaria, anche quella volontaria: gesti, postura, ecc. Dobbiamo far attenzione perchè certi movimenti potrebbero, col tempo, diventare propri della persona e quindi avere dei significati diversi.
Perchè studiare la studiare la CNV?
- Per conoscere noi stessi, per migliorare l'efficacia, l'efficienza e l'eleganza comunicativa;
- Per "capire" gli altri, naturalmente il capire è tra virgolette perchè significa: raccogliere informazioni in quel momento, su quella persona e in quel contesto;
- Per diventare più strategici nella comunicazione, cioè riuscire ad andare nella direzione degli obiettivi che ci poniamo volta per volta.
E' molto importante sempre tener conto del contesto e vedere l'insieme dei segnali.
La CNV dà dei segnali che possono:
Confermare un messaggio;
Contraddire un messaggio;
Sostituire un messaggio.
La Comunicazione Non Verbale ci veicola due informazioni che sono:
- I segnali rivelatori che ci danno informazioni non comunicate a voce cioè: rifiuto, tensione o gradimento. Allo stesso modo ci regalano anche delle microespressioni da indagare;
- I segnali di falso che non ci rivelano informazioni aggiuntive ma evidenziano le incongruenze tra il verbale e il non verbale.
Il prossimo mese prenderemo in esame e nello specifico i vari tipi di segnali.
martedì 2 febbraio 2021
Le fasi del Coaching Strategico.
Il Modello Strategico prevede una casualità circolare che orienta l'indagine alla soluzione del problema nel presente in modo che di volta in volta possiamo scegliere la tecnica da usare. Questo tipo di approccio si chiede:"Come funziona?", poi osserva, analizza e indaga in maniera funzionale. E' un modello integrato quindi: Problem Oriented, Solution Oriented e Action Oriented. E' molto incline al problema e non parte dalla teoria forte che per risolverlo bisogna andare per forza verso la soluzione di esso. Lo Strategico cerca di esplorare il più possibile il problema in modo da poter apportare dei cambiamenti su quel processo. Il criterio che usa è quello definito Ricerca - Intervento, per cui ogni piccola informazione che emerge, ogni minuscolo spostamento può indurre a dei cambiamenti.
Le fasi del Coaching Strategico sono quattro:
- Valutazione. Si appura che il caso sia di competenza del Coach. Al contempo si comincia a creare relazione col coachee;
- Definizione dell'obiettivo o del problema; individuazione delle tentate soluzioni disfunzionali ed eccezioni positive. Sintesi, definizione, a volte ridefinizione e accordo dell'obiettivo. Per questa fase è possibile impiegare anche diverse sessioni. Generalmente nelle prime due fasi impiegheremo più tempo rispetto a quello che poi utilizzeremo nell'ultima; questo è nella logica del partire dopo per arrivare prima anche se all'inizio sembrerà di essere quasi fermi. In chiave Strategica, in questo momento, apparentemente non stiamo muovendo alcun passo verso la soluzione però, già raccontare le difficoltà attraverso gli strumenti di comunicazione strategica e ridefinire alcuni aspetti, fa si che si creino dei piccoli interventi e nel crearli si cambiamenti;
- Definizione e applicazione della strategia. Questo è il momento in cui cominciamo a muovere il primo passo, proponendo al coachee delle attività che possano essere svolte in sessione oppure nell'intervallo tra esse. Qualche approccio punta a sbloccare durante la sessione risultando più sensazionalista (la tecnica illuminante, quella magica, fa sempre breccia), il Modello Strategico, invece mira al piccolo cambiamento perchè attinge anche dal pensiero sistemico. Un cambiamento dirompente potrebbe far rispondere il sistema con una resistenza, invece noi vogliamo che la persona stessa viva il cambiamento, accorgendosi di esso dopo. Qualche volta il cliente dopo una sessione di coaching strategico va via con qualche dubbio però se quel dubbio lavora per un mese o per la distanza che intercorre tra le sessioni, potrebbe essere molto funzionale;
- Misurazione degli effetti della strategia adottata (piano d'azione e check), siccome non partiamo da una teoria forte non c'illudiamo che sicuramente funzioni, qualche volta gli effetti potrebbero anche essere negativi e ciò ci consentirà di agire diversamente;
- Chiusura dell'intervento e ridefinizione del cambiamento alla luce dei risultati raggiunti. In questa ultima fase si restituiranno le chiavi del cambiamento al coachee, lo si responsabilizzerà avendogli fornito anche degli strumenti, da cui attingere per il futuro. La fase 4 è la conferma che scrivevamo precedentemente: Prima cambiamo o accompagnamo il coachee a cambiare e solo dopo capiremo quello che è successo a differenza di altri approcci che cercano di capire per poi cambiare.
venerdì 1 gennaio 2021
Definiamo un OBIETTIVO.
Il primo giorno di gennaio è generalmente quello in cui: promesse, obiettivi e risoluzioni di problemi fanno da sottofondo al trascorrere dei secondi...
Nel Modello di Problem Solving Strategico, il PROBLEMA e l'OBIETTIVO, sono due facce della stessa medaglia perchè, per risolvere un problema, dobbiamo sempre definire degli obiettivi, così come per raggiungere un obiettivo, dobbiamo risolvere dei problemi.
Sembra facile ma tante volte non è così in quanto il coachee (il cliente) spesso, dell'obiettivo, ha un'idea fumosa, quasi una chimera che gli gira per la testa e il nostro primo step sarà proprio quello di andarlo a definire, dandogli un contorno e una forma. Non è sempre semplice e a volte non basta una sessione di coaching; infatti nel Modello Strategico, la fase d'indagine (che poi prevede anche l'individuazione delle tentate soluzioni disfunzionali e delle eccezioni positive) può durare diverso tempo ma questo va nella logica del partire dopo per arrivare prima.
Cosa significa definire un obiettivo?
La risposta ci viene data dall'acronimo SMART, un Metodo che non ho inventato io ma P. Drucker nel 1954 che serviva a controllare la validità e la fattibilità degli obiettivi. Questo negli anni è stato interpretato in diversi modi e conformato alla lingua italiana per cui ci sono diverse versioni. L'adattamento a cui faccio riferimento io (dopo averlo raffrontato ad altri) è quello che ho appreso alla scuola di Coaching e Formazione Fym cioè: S M A R T + .
Entriamo nel dettaglio:
- S - Specifivo. Che non sia arbitrario. Sembra elementare ma non lo è, perchè talvolta il peggior nemico del coachee è proprio lui, che presenterà delle resistenze a raggiungere certi obiettivi, mettendo in atto quello che in ambito psicologico sono definiti degli autosabotaggi. Avviene ciò perchè, a volte, raggiungere un traguardo comporta un cambiamento che, se avvertito,
fà uscire il coachee dalla sua zona di comfort. Oltre a Specifico, l'obiettivo deve essere anche Scritto, in modo da diventare una specie di contratto che il coachee stipula con se stesso; - M - Misurabile. Definito in termini di risultati osservabili oggettivamente (correre i 100m piani in 10" oppure aumentare il fatturato del 15%);
- A - Accordato (condiviso);
- R - Respons - Abile. Deve essere sotto la responsabilità del coachee ma che sia anche realistico e raggiungibile. Noi non gli garantiamo che il problema si risolva o che l'obiettivo si raggiunga ma che lavoreremo per farlo diventare abile)
- T - Tempo. Che abbia una scadenza fissata, che sia definito nel tempo, raggiungibile ad una certa data;
- + - Definito in positivo. Significa non solo avere la consapevolezza di ciò che non va o che non vogliamo più ma di sapere quello che vogliamo ottenere perchè il rischio che si potrebbe presentare è quello di girare a vuoto e far salire la frustrazione.
L'obiettivo racchiuso in questo perimetro ci permette di andare a lavorare non su intenzioni velleitarie ma su qualcosa di concreto e oggettivo e quindi più facilmente raggiungibile. Ricordiamoci sempre, ed è importante, che anche tutto ciò non è garanzia assoluta di successo.
martedì 1 dicembre 2020
Le teorie e i modelli forti... Mah?
Esiste una formula magica attraverso la quale diventare ricchi e felici?
Se ci fosse, sarei miliardario e non la divulgherei; invece c'è una bibliografia copiosa. Tanti, generosi d'animo, hanno scritto numerosi libri sull'argomento che la gente ha puntualmente comprato. Peccato però che, in giro, io non veda persone con portafogli gonfi, ebbre di felicità.
C'è davvero la domanda maliarda con la quale si possa sbloccare una performance? La bacchetta magica, la chiave di volta utile per ogni circostanza?
Magari!!! Se ci fosse non farei il Coach e non scriverei articoli.
Nel Modello Strategico, al quale faccio riferimento, non esistono simili costrutti, teorie forti, pesantemente caratterizzate da opprimenti rigidità ma il piano che si applica, invece è fortemente influenzato dall'obiettivo prefissato e dalle caratteristiche del problema stesso.
Fermiamoci un attimo a riflettere...
Qualsiasi teoria, anche la più raffinata, nell'istante in cui diviene autocrata, può tramutarsi in una lente che potrebbe modificare marcatamente la realtà a cui viene applicata, vanificando, più o meno, il successivo intervento. Praticamente il principio rigido può influenzare in modo importante la strategia da applicare più che le stesse peculiarità del problema da risolvere.
Cosa intendiamo per modello forte?
Un approccio per cui ci sia una spiegazione a tutto, che renda comprensibili le dinamiche facendo in modo che il comportamento del coachee rientri all'interno delle stesse. Queste teorie sono caratterizzate da casualità lineari: se accade A, poi si avvera B ("Se sei più motivato, vinci", "Se ti allenassi di più avresti una performance migliore"). Tutto ciò potrebbe essere anche vero ma, nel tempo, potrebbero essere non più valide e talvolta controproducenti.
Facciamo molta attenzione perchè gli schemi poco flessibili, spesso si fondano su teorie affascinanti e valide (qualche volta) che non sempre sono verificate e verificabili.
Qual'è la differenza tra il Modello Strategico e una teoria forte?
Semplice (sembrerebbe), il primo analizza la struttura della performance e delle problematiche (eventuali) ad essa correlate, cercando al tempo stesso di non creare logiche lineari capaci di alimentare le criticità attraverso delle tentate soluzioni disfunzionali.
In più, il Modello Strategico è applicabile alla performance nella sua totale interezza e si apre poi a qualsiasi possibilità di scenario si venisse a creare o già esistente nella realtà. I modelli forti, invece proliferano nel self-talk, nella motivazione, nel pensiero positivo, ecc, lavorando nella direzione che porti il coachee a ripetersi che è il più forte, che è il migliore, che ce la farà.
A questo punto, mi chiedo dove sia scritto e chi mi dice che una persona che si parli in positivo poi performi meglio.
Se un atleta, un manager, uno studente, dovesse ripetersi quelle frasi, sarebbe perchè corrispondono alla realtà oppure perchè c'è una parte di loro stessi che sa di non potercela fare al punto tale che per farsi forza e darsi coraggio deve dirsele?
Adesso però e concludo, dovrò essere io stesso abile affinchè ciò che ho scritto non mi diventi una teoria forte, quindi non deformare la realtà attraverso la mia visione delle cose. Per non cadere in errore, stabilire un obiettivo specifico, misurabile, condiviso col coachee, realizzabile, localizzato nel tempo e declinato positivamente. Infine fare indagine, indagine e ancora indagine.
domenica 1 novembre 2020
Caratteristiche di un intervento.
- Flessibile. Deve adattarsi al problema del Coachee e a quello che emerge dalla fase d'indagine.Tutto questo, sessione per sessione e facendo attenzione alle teorie forti;
- Minimale. Deve mirare a piccoli cambiamenti sistemici, questo consente di avere meno resistenze da parte del Coachee e dà la possibilità al Coach di mutare più facilmente la direzione del suo intervento;
- Autocorrettivo. Si procede per tentativi ed errori con correzioni. Una partita a scacchi, con la prima mossa al Coach e quella successiva al Coachee; se la giocata del cliente va nella direzione sperata, va bene, altrimenti ci sarà la variazione. Faccio un esempio: Il Coach usa una tecnica, aspettandosi un certo risultato che non arriva, a quel punto dovrà avere la flessibilità di lasciarla in stand by e non portarla avanti e magari riprenderla più avanti se dovesse ripresentarsi l'opportunità;
- Adattato. L'intervento deve essere comunicato utilizzando il linguaggio del Coachee e la logica delle persone coinvolte.

















